venerdì 25 luglio 2014

Riforme: altro che Quirinale, ritiriamoci sull’Aventino

Riforme: altro che Quirinale, ritiriamoci sull’Aventino

Come se non fosse stato proprio Napolitanoad imporre al Presidente del Senato Grasso di cedere alle pressioni di Renzi. Come se la decisione della “ghigliottina” non fosse stata, di fatto, presa direttamente dal Capo dello Stato – con l’ennesimo atto di interferenza verso le prerogative ed i poteri del Parlamento –, all’esito del colloquio con Grasso. Come se non fosse stato Napolitano a denunciare il pericolo di una «paralisi decisionale» provocata dalla tattica ostruzionistica – ma legittima – delle opposizioni.
Niente da fare: i senatori del M5S vanno a chiedere aiuto proprio a Napolitano, si recano al Quirinale. E, beffardamente, non vengono neppure ricevuti dal Capo dello Stato, che lamenta una lieve indisposizione e li lascia al suo segretario generale Donato Marra. 
Il sospetto è che si sia sbagliato colle: le opposizioni non devono recarsi al Quirinale, ma ritirarsi sull’Aventino. «In quest’aula noi non abbiamo nulla da fare e quasi nulla da dire». Sono, queste, le parole di Giovanni Amendola, al momento di lasciare l’aula per guidare la protesta aventiniana. Protesta che, se non bloccò il fascismo, non fu neppure una sterile opposizione moralistica. Fu, invece, la rivendicazione politica di intransigente difesa del diritto, e di appello alle forze di governo non fasciste a ritirare il loro appoggio a Mussolini.
Oggi, un nuovo Aventino sembra essere l’unica risposta possibile ad uno schiaffo senza precedenti dato alla Costituzione. Non si era mai vista applicare la “ghigliottina” alle leggi costituzionali. Essa è sempre stata pensata per i soli decreti-legge, in cui la predeterminazione del termine per la votazione appare giustificata dalla necessità che la conversione del decreto avvenga nel termine di sessanta giorni, a pena di decadenza. Lo stesso Regolamento del Senato, ai sensi del combinato disposto degli articoli 55 c. 5 e 78, fa riferimento alla possibilità di applicare la ghigliottina per i soli disegni di legge di conversione di decreti-legge.
Già Spadolini, nel 1991, tenne a precisare che il Regolamento del Senato prevede «il voto degli emendamenti, e la sola eccezione che il Regolamento prescrive in materia riguarda i decreti-legge. Qui non siamo in presenza di un decreto-legge e nessuno intende applicare ad un provvedimento come lalegge finanziaria quei rimedi eccezionali che sono stati previsti dall’attuale Regolamento per i decreti-legge; non esiste quindi problema sulla votazione di emendamenti, che viene ad essere comunque effettuata» (Senato della Repubblica, X legislatura, 591° seduta pubblica. Resoconto stenografico, martedì 5 novembre 1991, p. 10).
Siamo di fronte ad una violazione, del tutto ingiustificata, dei diritti delle minoranze. La quale fa apparire il precedente del 29 gennaio scorso – quando la Boldrini decise di applicare la “ghigliottina” anche alla Camera, nonostante essa sia prevista unicamente per il Senato – come una innocente e piccola deroga alla “lettera” dei regolamenti parlamentari.
Ma non solo. La decisione di dar corsa alla “tagliola” spetta esclusivamente al presidente del Senato, alla sua responsabilità politica, e non certo al Capo dello Stato. Ora, è proprio Napolitano, dopo che Grasso si era rifiutato di applicare la ghigliottina, ad aver imposto il cambio di rotta. Vi sarebbe dunque spazio per sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Ma, soprattutto, questa è la prova che le opposizioni non possono più pensare di trovare nel Presidente della Repubblica il garante dei loro diritti calpestati.  
Per questo non è al Quirinale che bisogna recarsi. Ormai è il momento dell’Aventino, di un gesto che faccia capire al Paese quanto lontano si è spinta la violazione della Costituzione, quanto spregiudicata è, oggi, la prepotenza del governo, il suo disprezzo per la legalità costituzionale e per i diritti dell’opposizione. Occorre che le opposizioni abbandonino dunque un’aula che ormai serve soltanto a ratificare l’arroganza di Renzi, formino un contro-governo di opposizione e oppongano all’illegalità di questa riforma la difesa della Costituzione. 
La linea ondivaga non paga in politica non si può un giorno andare sotto il Colle a cantare la serenata al Monarca e il giorno dopo gridare al Colpo di Stato di cui Re Giorgio è il regista.

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