sabato 26 luglio 2014

Renzi, Napolitano, Berlusconi: perché il nuovo sultanato ha tanta fretta di cambiare la Costituzione?


Di Claudio Forleo | 25.07.2014 11:47 CEST
La decisione del governo di contingentare i tempi della discussione sulla riforma della Costituzione (la "tagliola" fissa paletti temporali per gli interventi di ogni gruppo parlamentare, mentre la "ghigliottina" impone l'immediato passaggio al voto finale, senza tenere conto di ulteriori emendamenti e interventi) rientra all'interno di uno schema che il governo ha seguito fin dall'inizio. Non c'è margine di discussione, questa è la riforma, bene se vi sta bene, altrimenti fatti vostri.
Reuters
Da sinistra, Silvio Berlusconi, Giorgio Napolitano e Matteo Renzi
Della prima bozza presentata ormai quattro mesi fa, sono rimaste quasi inalterate la struttura portante e i principi fondamentali. E' cambiato il numero dei componenti del Senato, riducendo il peso delle nomine quirinalizie, la Commissione, blindata da Renzi con apposite sostituzioni, ha apportato discutibili modifiche su immunità e 'premierato forte'.
Su queste pagine abbiamo iniziato a sollevareperplessità e critiche sulla riforma e sull'operato del governo fin dal 19 marzo scorso, giorno in cui abbiamo affrontato per la prima volta l'argomento, analizzando la bozza di riforma pubblicata sul sito del governo. In 130 giorni abbiamo assistito alla fronda interna del PD, che ha presentato un DDL alternativo più presentabile di quello del governo, sempre se le intenzioni di Renzi e soci sono quelle che vanno ripetendotanto dall'esecutivo che dal Colle infatti sono stati utilizzati fiumi di tweet e moniti per spiegarci la necessità di superare il bicameralismo perfetto e tagliare i costiEbbene, il DDL dei dissidenti PD va proprio in questa direzione: supera il bicameralismo perfetto senza rendere il Senato un inutile secondo lavoro per consiglieri regionali e sindaci il cui parere non è vincolante per l'approvazione delle leggi ordinarie, mantiene intatta l'elettività della Camera Alta e taglia più poltrone e stipendi rispetto a quello renziano perché agisce anche sulla Camera dei Deputati.
Ovviamente non è stato preso in considerazione, anzi. I dissidenti della Commissione Affari Costituzionali sono stati epurati da uno scocciato Renzi, più interessato agli annunci che ai fatti concreti, soprattutto disinteressato a mettere in discussione il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. L'unica attenuante che si può concedere al governo sulla decisione di contingentare i tempi è che dei 7800 emendamenti presentati dalle opposizioni, di 'costruttivo' c'è poco, il resto è puro ostruzionismo, con emendamenti ripetitivi o peggio ancora farsa, al solo scopo di perdere tempo (molti dei quali presentati dai cosiddetti dissidenti di Forza Italia).
Ma l'ostruzionismo portato all'eccesso è anche figlio dell'atteggiamento di chiusura del governo. Tagliola e/o ghigliottina unica risposta possibile? Affatto. Dove sta scritto che la riforma va approvata entro la "pausa estiva"? A parte le esigenze di immagine del premier, quale altro motivo può giustificare la fretta del governo?Stiamo o non stiamo parlando della Costituzione, la legge fondamentale dello Stato? Una svolta del genere non merita forse una discussione che vada oltre le poche settimane di tempo dedicate in Commissione e a Palazzo Madama?
La grande fretta del governo è stata alternata in queste settimane a messaggi di apertura nei confronti dei contrari. Ma abbiamo visto come i dissidenti del PD siano stati messi da parte e, al netto delle ipocrisie politiche,  anche la tardiva apertura dei Cinque Stelle sulle riforme non ha mai interessato né il PD né Matteo Renzi. Lo sa anche il Movimento. Il premier non dialoga con i dissidenti interni, non dialoga con le opposizioni ma accoglie solo chi si adegua al patto del Nazareno. Il problema è che nessuno, a parte i fedelissimi dei due padri costituenti, conosce fino in fondo il contenuto di questo patto e i do ut des che si celano dietro. Almeno 'ufficialmente', perchéun'idea ce la siamo fatta da tempo.
La Commissione Affari Costituzionali ha però reso via via più chiaro il disegno dietro questa riforma, peggiorandola ulteriormente: scudo contro intercettazioni e arresti esteso anche ai senatori non eletti, possibilità per il governo di indicare quali disegni di legge approvare per primi, ghigliottina costituzionale, firme quintuplicate per le leggi di iniziativa popolare e aumentate del 60% per i referendum abrogativi. Una serie di novità che, aggiunte all'Italicum copia quasi fedele del Porcellum, rende evidente il piano, solo qualche anno fa proposto da Berlusconi, ricoperto da critiche che oggi Renzi riceve solo da una ristretta minoranza.
"Le riforme costituzionali che caldeggia sono tutte intese a depotenziare e fagocitare i contropoteri che lo intralciano. Ma vuole davvero diventare un dittatore? Qui dobbiamo rispondere a naso, a fiuto. A mio fiuto...interessa semplicemente fare quello che vuole. Si ritiene bravissimo ed è a questo titolo che pretende a mano libera, che mal sopporta chi lo frena. Però è vero che la sua megalomania sta crescendo". Sembra scritto oggi per l'attuale Presidente del Consiglio. Invece sono riflessioni del 16 aprile 2009, dedicate a Berlusconi dal politologo Giovanni Sartori in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera dal titolo Il sultano democratico (leggi
Con le riforme di Renzi si possono vincere le elezioni anche con meno di un quarto dei voti validi e una serie di piccoli partiti, a rischio sbarramento, a fare da contorno ma utili per far superare alla coalizione la soglia che garantisce il premio di maggioranza. Così ci si prende Montecitorio, unica Camera con funzioni legislative ordinarie, e si fa quello che si vuole. Il governo gestirà la maggioranza come meglio crede, perché le liste bloccate creano il solito Parlamento designato dalle segreterie dei partiti, fedele al leader di turno, pena epurazioni alla Mineo e soci. Potrà imporre quali leggi approvare "in 60 giorni" e se le opposizioni vorranno mettersi di traverso, ecco calare la ghigliottina inserita nella Costituzione.Tutte le 'porcate' non passate in questi anni anche per la presenza di una seconda Camera in grado di correggere gli errori della prima, ora passeranno.
L'Italia una volta era una democrazia parlamentare, Renzi chiude il cerchio di una trasformazione in atto da anni e la inserisce nella Costituzione, rendendola definitiva. E si trema al solo pensiero di cosa potrà uscire da una riforma della Giustizia scritta a quattro mani con chi, come Silvio Berlusconi, ha pagato Cosa nostra per almeno 18 anni.
A chi giova questa fretta sulla riforma della Costituzione, dipinta come imprescindibile mentre il paese avrebbe ben altre emergenze da affrontare, dato che con l'ottimismo degli annunci non si risanano i conti pubblici e non si esce dal tunnel della crisi? Se approvata entrerà in vigore solo fra un anno e mezzo, non creerà posti di lavoro, non stimolerà la crescita, non dovrebbe essere in cima alla lista delle cose da fare di un governo italiano. L'attuale Costituzione non è 'il problema', anche se provano in tutti modi a far passare questo messaggio.  
Gli 11,2 milioni di voti del 25 maggio hanno alimentato l'ego del premier e lo hanno reso anche più aggressivo nelle dichiarazioni e nei fatti. Ma quella con cui governa non è la sua maggioranza e l'esecutivo non è il suo esecutivo. La voglia matta di prendere il potere ha esaltato una caratteristica che su queste pagine gli riconoscevamo già molto tempo fa (leggi), vale a dire cambiare idea in base all'aria che tira. Da "Enrico stai sereno" a Enrico defenestrato, da "Berlusconi game over" a Berlusconi unico partner possibile, dalle preferenze alle liste bloccate, dall'immunità a nessuno all'immunità per tutti, da rottamatore a restauratore o riesumatore, come è stato giustamente definito. Renzi ha consenso, ha le principali testate dalla sua parte e vuole, deve, ottimizzare il momento propizio. Incassare una grande riforma, farsi una legge elettorale ad hoc e prendersi tutto il cucuzzaro, sperando che gli indicatori economici reggano fino a quel giorno.  
Silvio Berlusconi, ancora una volta, resta a galla. Pur avendo ottenuto il peggior risultato elettorale di sempre solo due mesi fa, pur pregiudicato,decaduto e abbandonato dai principali scudieri (oggi pronti a rientrare nella casa del padre costituente), è lì. Non solo: Renzi sta completando il cammino che lui non è riuscito a percorrere per intero, trasformando la democrazia a sua immagine e somiglianza, rafforzando i poteri dell'esecutivo, limitando il Parlamento e ha tirato in ballo nel corso dei primi mesi di governo tanti argomenti cari all'ex premier: le intercettazioni, la responsabilità dei giudici, la riforma della giustizia. Parla molto, ma non fiata sull'evasione fiscale, non ha mai detto una parola sulla trattativa stato-mafia, ha stoppato il DDL corruzione in Parlamento, ha approvato una riforma annacquata del voto di scambio politico-mafioso e si dipinge come un 'garantista', nel senso sempre descritto da Berlusconi. Non gli interessa che l'ex Cavaliere abbia frodato il fisco o abbia pagato Cosa nostra per ottenere protezione, il conflitto d'interessi era e resta una parolaccia impronunciabile. E c'è un asse indiscutibile con Denis Verdini, eminenza grigia rimasta fedele a Berlusconi, che regge da anni. Sono perfetti assieme, almeno finché avranno obiettivi comuni o sovrapponibili non si daranno problemi.
E poi c'è Giorgio Napolitano. Dimenticate la 'boutade' del complotto che Berlusconi tira fuori di tanto in tanto, per lo più in campagna elettorale. Il Presidente della Repubblica, consapevole o meno, è un garante del patto del Nazareno. Vale il discorso fatto in precedenza: obiettivi comuni o sovrapponibiliNapolitano non vuole, pretende la riforma della Costituzione. L'ha inserita nel suo 'programma di governo' snocciolato il giorno del nuovo insediamento, nell'aprile 2013. E lo aveva fatto intendere anche prima, con la nomina dei saggi che hanno anticipato il governo Letta. Le larghe intese lo appassionano da sempre, fin da quando chiedeva al secondo governo Prodi di dialogare con Berlusconi che nel frattempo, secondo le accuse che gli vengono mosse in uno dei tanti processi, agganciava senatori del centrosinistra per farlo cadere. Napolitano, presidente del CSM, ha fatto capire 8 anni fa come 'intende' la giustizia e la magistratura, da quando nel giugno 2006 chiese il fascicolo del PM Woodcock che indagava su Vittorio Emanuele. E' entrato a gamba tesa sul caso De Magistris, il Quirinale si è attivato per dare voce alle richieste dell'imputato Nicola Mancino, scrive lettere al CSM su come vanno gestite le Procure.
Neanche per Napolitano è un problema il profilo di Silvio Berlusconi, anzi. A inizio settimana si è congratulato con chi da 20 anni attacca i pochi magistrati che lo condannano perché dopo l'assoluzione sul caso Ruby è arrivato "il riconoscimento espresso da interlocutori significativi per equilibrio e il rigore ammirevoli che caratterizzano il silenzioso ruolo della grande maggioranza dei magistrati". E si augura che questa nuova pacificazione aiuti a portare a destinazione tutte le riforme possibili: Costituzione, giustizia, chi più ne ha più ne metta. Monita contro l'ostruzionismo e punta il dito contro chi critica, versione quirinalesca dei 'gufi e rosiconi' renziani.
Non è un colpo di Stato, quelli in genere non si fanno alla luce del sole. E' una svolta, autoritaria o meno, che cambia il volto dell'Italia. Svolta che nessun partito fra quelli coinvolti aveva inserito nel suo programma, che sarà votata da un Parlamento eletto, anzi nominato, con una legge incostituzionale, che si regge su un patto che gli elettori non conoscono. C'è n'è abbastanza per avere paura?


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