lunedì 30 settembre 2013

Berlusconi e i congiurati, storia di iene e gattopardi - Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano

L’affare non è di Stato e neanche di governo. È una una semplice questione di famiglia. In ballo non ci sono il futuro dell’ Italia, lo spread che ovviamente sale, le imposte, la disoccupazione, il sempre più probabile arrivo della troika europea o il destino di una destra, che qui da noi non è mai esistita.
Il palcoscenico italico non è cambiato: offre solo un’ennesima guerra di potere, una nuova congiura di palazzo per provare a spartirsi ciò che resta del Paese. Lo scontro non è politico, etico o morale (nessuno dei supposti congiurati è disposto a dire che Berlusconi è un ladro). È generazionale. I piccoli gattopardi crescono e lottano solo per contare.   
Berlusconi e i congiurati, storia di iene e gattopardi - Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano

Taglio tribunali, la rivolta di nove regioni: “Referendum abrogativo” - Il Fatto Quotidiano

All'appello manca la Sicilia, nonostante le Roboanti promesse di Crocetta!
Taglio tribunali, la rivolta di nove regioni: “Referendum abrogativo” - Il Fatto Quotidiano

Il proporzionale per difendere la democrazia!


Da sempre sostenitrice del proporzionale, le cui caratteristiche sono spiegate con una chiarezza unica in questo post.
Leggendolo si capisce bene il perchè i politici nostrani non lo vogliono.
Noi, invece, lo vogliamo ed è facile capire il perchè!!!!
.Il sistema proporzionale, nato con il liberalismo di John Stuart Mill, si è diffuso in Europa dopo la prima guerra mondiale insieme al suffragio universale e ai partiti di massa cattolici, socialisti e comunisti. Non a caso il proporzionale è di gran lunga il sistema più utilizzato in Europa (anche se nessuno lo dice). Solo il Regno Unito, la Francia, la Grecia e l’Italia perseguono una logica maggioritaria. Germania, Svizzera, Spagna, nord Europa (Svezia, Norvegia, Finlandia, Islanda, Danimarca, Olanda, ecc) hanno un regime proporzionale, puro o misto, mentre il sistema uninominale – che è intrinsecamente maggioritario perché, come dice il nome, uno solo viene nominato e tutti gli altri perdono anche se sono la maggioranza – è stato adottato soprattutto dalle democrazie anglosassoni (Usa, UK, Canada) e dalla Francia.

L’uninomale maggioritario, come il Mattarellum, tende a tagliare le ali eccentriche e a favorire la convergenza dei partiti verso il centro. Secondo gli scienziati politici conservatori è utile perché assicura la governabilità. Svizzera, Germania e i paesi nordici hanno però governi molto stabili con il sistema proporzionale. I sistemi uninominali maggioritari hanno un altro fondamentale difetto: sono spesso accompagnati dal presidenzialismo (come negli Usa e in Francia), un retaggio della monarchia, il sogno di tutti i conservatori, dalla Trilaterale in avanti, passando per la P2, ovvero il sogno di concentrare il potere in un uomo solo per “affrontare l’emergenza”.

venerdì 20 settembre 2013

Uscire dal Passato per entrare nel futuro!

 Si può acquistare 
direttamente dalla casa editrice
Edizioni Agemina – Via Val di Sieve, 34
tel.055412715
edizioniagemina@alice.it
50127 - FIRENZE, 

presto anche nelle librerie  

Possiamo chiamarla ancora democrazia?


 20 settembre 2013 alle ore 11.40


Schumpeter:la democrazia è fondata dal potere dal basso, e l'utocrazia dal potere dall'alto.
ne consegue che la selezione della classe politica avviene nelle democrazie attraverso l'elezione, nelle autocrazie attraverso la nomina. Ciò significa concepire la democrazia come sistema di regole, ovvero come sistema di regole per prendere decisioni collettive con il più ampio consenso dei soggetti coinvolti nelle decisioni. A  talprposito  BOBBIO affermava che questa è "una definizione  che fissa i requisiti minimi che un sistema democratico deve possedere, che sono requisiti formali, ma non esclude il riferimento ad alcuni valori forti.Considerare la democrazia uno strumento che regola la competizione fra le élite per la conquista del consenso implica il riferimento a valori come l'uguaglianza dei cittadini nel diritto del voto, la libertà di scelta di fronte al voto e, come conseguenza, la soluzione pacifica dei conflitti sociali."
Se si guarda all'Italia, in questo momento e negli ultimi vent'anni, possiamo tranquillamente affermare che questa forma di democrazia è stata annullata.
Non  abbiamo più la libertà di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento, i conflitti sociali sono aumentati ed i valori forti scomparsi. Ad aggravare la situazione sono intervenute le modifiche alla legge elettorale nazinale e l'elezione diretta di presidenti di regione e comuni, che a loro volta possono scegliersi gli assessori e collaboratori a piacimento, anche tra coloro che non sono stati legittimati dal voto. Guardando all'esprienza della regione siciliana e prima ancora a quella del Lazio, tanto per citare una tra  la più disastrose, possiamo concludere che oramai siamo in piena autarchia.Piano piano, un apasso alla volta hano cancellato il sistema di regole democratiche proprio della democrazia per dare spazio al potere senza controllo di Presidenti e sindaci. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed in questo momento in particolare la Sicilia è alla mercè di un Presidente che cambia continuamente le carte in tavola senza mai arrivare al dunque, senza che abbia risolto uno solo dei problemi dell'Isola, anzi distruggendo quel poco di buono che er a rimasto. Macerie solo macerie possiamo contare, e ,quel che è più grave, è che nessuno dei partiti politici riesce ad imporsi per cambiare il corso delle cose , tanto meno il movimento 5 stelle che sembra essere scomparso.
Mi somando se non è il caso di cominciare a pensare di tornare indietro, alla vecchia legge elettorale per cercare di toglierci dal dispostismo di questi governanti incapaci. Penso anche che è necessario opporci con fermezza alle sciagurate riforme Costituzionali progettato da saggi non eletti, ma anch'essi nominati, per evitare che ci succeda quello che si sta verificando nelle Regioni e nei comuni. Per questo vi invito a partecipare alla manifestazione del 12 ottobre prossimo in difesa della Costituzione!
Nella Toscano
https://www.facebook.com/notes/nella-toscano/possiamo-chiamarla-ancora-democrazia/10150310102629971

lunedì 9 settembre 2013

Uscire dal Passato Per entrare nel Futuro!

AggiungiEdizioni Agemina In arrivo il libro di NELLA TOSCANO
Uscire dal PASSATO per
Entrare nel FUTURO
Collana: Paesi, fatti, personaggi: Biografie
Edizioni Agemina 9788895555638

Pagg. 128 € 14.00

In questo “Uscire dal passato per entrare nel futuro”, Nella Toscano (architetto) traccia una panoramica sulle storture e sulle incongruenze umane della nostra epoca.
Protagonista della narrazione è Allen, che, con le sue atmosfere interiori, spontanee, tangibili, fresche, ci porta a ripercorrere un passato dalla soggettività anticonformista ma in qualche modo anche salvifica, catartica, liberatoria.
Attraverso queste pagine, condotte con un ritmo narrativo incalzante e realistico, l’autrice ci introduce nei meandri del mondo del lavoro, della giustizia e degli avvenimenti politici, così come realmente si sono verificati.
I luoghi, in cui l’azione si svolge, già di per sé abbastanza noti per fatti e iniquità di natura arrogante, sono alcuni territori della Sicilia e di Palermo in particolare.
Appassionata e rigorosa, Allen accetta vari incarichi di lavoro con lo slancio, la consapevolezza e lo scrupolo della persona corretta, salvo poi doversi ricredere nel constatare di essere stata raggirata in modo spregevole perfino da soggetti insospettabili. Molto deludente perciò la verifica degli eventi.
L’originalità di questo libro consiste nella capacità della protagonista di osservare, in modo sobrio e misurato, col dovuto distacco e la giusta obiettività, tutti gli eventi che l’hanno coinvolta in prima persona.
È un mondo, quello descritto dalla Toscano, caratterizzato dall’egoismo e dall’individualismo, dove ciascuno è pronto a concretizzare i propri affari, la propria avidità, i propri interessi, prevaricando e calpestando i più deboli e soprattutto i più impreparati e inesperti in fatto di cosche mafiose, malavitose e criminali.
Neanche nella GIUSTIZIA Allen trova il giusto sostegno e l’imprescindibile protezione di chi, a ciò, è preposto, quasi vigessero comuni accordi e interessi tra i ministri della legge e le parti opposte.
La sezione più interessante del libro è senza dubbio quella riguardante la politica contemporanea, contrassegnata dalla vacuità di alcuni personaggi che passano da una corrente all’altra senza un minimo di esitazione e imbarazzo, e senza la dovuta attenzione nei riguardi delle sorti del Paese. L’opportunismo più calcolato e freddo di singoli soggetti porta al fallimento dei tanti progetti - come ad esempio quello delle “Pari Opportunità” e di “Incontriamoci” - cui Allen, proveniente da una famiglia di alti valori morali, partecipa col fervore e l’entusiasmo di chi agisce con onestà e dedizione.
Si possono quasi percepire la gioia, la passione, l’ardore, profusi da Allen nel porgere il suo schietto contributo per fare uscire il nostro Paese da un PASSATO ormai logoro e svilito e riconsegnarlo alle generazioni più giovani con rinnovata speranza e fiducia nel FUTURO.
Un libro che vale la pena di leggere perché ciascuno di noi vi potrebbe trovare un pezzetto della propria vita e delle proprie esperienze.
(Pina Vicario)

Note biografiche

Nella Toscano, architetto, vive e lavora a Palermo. Da tempo è impegnata nella battaglia per i diritti civili delle donne e dei più deboli.
Ha dato il proprio contributo per la modifica dell’art. 51 della Costituzione, affinché venissero, finalmente, riconosciute Pari Opportunità per le donne in tutti i campi, a cominciare dalla politica.
Promotrice di diversi D.L., tra cui l”Otto per mille fondo di solidarietà per le donne e le famiglie”, conduce con determinazione la battaglia per il rinnovamento della politica e per la difesa della Costituzione. Ha ideato e promosso l’Associazione del “Treno delle donne in difesa della Costituzione”, di cui è Presidente, che, nel settembre 2012, ha ricevuto dal Presidente della Repubblica una medaglia di rappresentanza quale riconoscimento per il progetto di “La Costituzione Ritrovata”.
didascalia

venerdì 6 settembre 2013

Manifesto dell'assemblea per la Costituzione”


Comunicato stampa di Libertà e Giustizia
Manifesto dell'assemblea per la Costituzione”

La via maestra è il documento firmato da Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky che verrà presentato a Roma domenica 8 settembre (Centro Congressi Frentani, via Frentani 4 - ore 10.30), all'assemblea indetta dalle associazioni per la Costituzione.

La via maestra
1. Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra società e a riscoprire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignità delle persone, la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l’abolizione dei privilegi, l’equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d’ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d’una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch’essa sancisce?
Invece, si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l’idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l’ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera costituzione sia, dunque, un’altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s’è fatta strada l’idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo della sostituzione del governo della “tecnica” economico-finanziaria al governo della “politica” democratica. Così, si spiegano le “ineludibili riforme” – come sono state definite –, ineludibili per passare da una costituzione all’altra.
La difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.
2. Eppure, per quanto si sia fatto per espungerla dal discorso politico ufficiale, nel quale la si evocava solo per la volontà di cambiarla, la Costituzione in questi anni è stata ben viva. Oggi, ci accorgiamo dell’attualità di quell’articolo 1 della Costituzione che pone il lavoro alla base, a fondamento della democrazia: un articolo a lungo svalutato o sbeffeggiato come espressione di vuota ideologia. Oggi, riscopriamo il valore dell’uguaglianza, come esigenza di giustizia e forza di coesione sociale, secondo la proclamazione dell’art. 3 della Costituzione: un articolo a lungo considerato un’anticaglia e sostituito dall’elogio della disuguaglianza e dell’illimitata competizione nella scala sociale. Oggi, la dignità della persona e l’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali, proclamate dall’art. 2 della Costituzione, rappresentano la difesa contro la mercificazione della vita degli esseri umani, secondo le “naturali” leggi del mercato. Oggi, il dovere tributario e l’equità fiscale, secondo il criterio della progressività alla partecipazione alle spese pubbliche, proclamato dall’art. 53 della Costituzione, si dimostra essere un caposaldo essenziale d’ogni possibile legame di cittadinanza, dopo tanti anni di tolleranza, se non addirittura di giustificazione ed elogio, dell’evasione fiscale. Ecco, con qualche esempio, che cosa è l’idea di società giusta che la Costituzione ci indica.
Negli ultimi anni, la difesa di diritti essenziali, come quelli alla gestione dei beni comuni, alla garanzia dei diritti sindacali, alla protezione della maternità, all’autodeterminazione delle persone nei momenti critici dell’esistenza, è avvenuta in nome della Costituzione, più nelle aule dei tribunali che in quelle parlamentari; più nelle mobilitazioni popolari che nelle iniziative legislative e di governo. Anzi, possiamo costatare che la Costituzione, quanto più la si è ignorata in alto, tanto più è divenuta punto di riferimento di tante persone, movimenti, associazioni nella società civile. Tra i più giovani, i discorsi di politica suonano sempre più freddi; i discorsi di Costituzione, sempre più caldi, come bene sanno coloro che frequentano le aule scolastiche. Nel nome della Costituzione, ci si accorge che è possibile parlare e intendersi politicamente in un senso più ampio, più elevato e lungimirante di quanto non si faccia abitualmente nel linguaggio della politica d’ogni giorno.
In breve: mentre lo spazio pubblico ufficiale si perdeva in un gioco di potere sempre più insensato e si svuotava di senso costituzionale, ad esso è venuto affiancandosi uno spazio pubblico informale più largo, occupato da forze spontanee. Strade e piazze hanno offerto straordinarie opportunità d’incontro e di riconoscimento reciproco. Devono continuare ad esserlo, perché lì la novità politica ha assunto forza e capacità di comunicazione; lì si sono superati, per qualche momento, l’isolamento e la solitudine; lì si è immaginata una società diversa. Lì, la parola della Costituzione è risuonata del tutto naturalmente.
3. C’è dunque una grande forza politica e civile, latente nella nostra società. La sua caratteristica è stata, finora la sua dispersione in tanti rivoli e momenti che non ha consentito di farsi valere come avrebbe potuto, sulle politiche ufficiali. Si pone oggi con urgenza, tanto maggiore quanto più procede il tentativo di cambiare la Costituzione in senso meramente efficientistico-aziendalistico (il presidenzialismo è la punta dell’iceberg!), l’esigenza di raccogliere, coordinare e potenziare il bisogno e la volontà di Costituzione che sono diffusi, consapevolmente e, spesso, inconsapevolmente, nel nostro Paese, alle prese con la crisi politica ed economica e con la devastazione sociale che ne consegue.
Anche noi abbiamo le nostre “ineludibili riforme”. Ma, sono quelle che servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla.
Lorenza Carlassare
Don Luigi Ciotti
Maurizio Landini
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky

Il nuovo Renzi piace a Vendola ...

Riforma della Costituzione, i 5 Stelle occupano il tetto della Camera per protesta - Il Fatto Quotidiano

Riforma della Costituzione, i 5 Stelle occupano il tetto della Camera per protesta - Il Fatto Quotidiano

Convocazione assemblea aperta


 
È confermata l’assemblea aperta domenica 8 settembre 2013 proposta lo scorso 6 agosto con una presa di posizione firmata da Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Don Luigi Ciotti, Lorenza Carlassare, Maurizio Landini. L’obiettivo è di avviare nel paese una discussione e una mobilitazione per dare piena attuazione ai diritti e princìpi fondamentali sanciti dalla nostra Carta Costituzionale. L’assemblea aperta si svolgerà a Roma dalle ore 10.30 presso il centro Congressi Frentani, via dei Frentani 4. Fiom-Cgil nazionale

mercoledì 4 settembre 2013

Vorrebbero sparare con il dubbio ma non ne sono capaci


La delegittimazione è l’arma del duemila, buona per ogni evenienza e applicata nelle sue due modalità: urlata o sotto traccia. “Mascariare” diceva Totò Riina, isolare, insinuare, rendere poco comprensibile, mescolare e coltivare il dubbio.

Starci dentro all’inizio è poco salutare: imbruttisce. Io mi sono incattivito e imbruttito moltissime volte in questi miei ultimi anni, ho ascoltato antimafiosi più mafiosi dei mafiosi, ho visto politici dal profilo accattivante impaurirsi per il terrore dell’inopportunità, ho conosciuto (e conosco) “buoni” che invece di nascosto parlano con i cattivi, cronisti d’inchiesta con invidie da sciantose e vezzi da vecchie suocere, ho incrociato abili banalizzatori e analisti fallimentari. C’è di tutto nella delegittimazione, quasi ti rincuora che almeno i cattivi di sicuro sono cattivi.
Le parole del pentito Bonaventura non sono ancora state riscontrate in nessuna Procura. Anzi, le parole del pentito Bonaventura erano già state dette e mai approfondite. E forse (udite, udite) non è nemmeno il solo a sapere. Pensa che sorpresa.
I puntini che Bonaventura mette insieme (che sia vero o no, che me lo dicano chi di dovere senza bisbigliarlo a nostra insaputa alla macchinetta del caffè della Redazione) sono fatti che comunque ho vissuto: pezzi di questo Stato sono in contatto con la criminalità organizzata. O abbiamo il coraggio di partire da qui o lasciatemi stare perché voi state giocando ad un altro gioco: il monopoli degli antimafiosi allo sbaraglio che scoperchiano gli esecutori e mai i mandanti.
Io so.
So che la gravità di questa situazione non è l’allarme di Bonaventura ma il mio diritto calpestato di subirne l’effetto senza che nessuno dia una risposta garantita.
So che pezzi istituzionali (so i nomi, so i cognomi) stanno giocando sulla “non credibilità” del pentito senza avere il coraggio di metterlo per iscritto.
So che gli informatori che servono alle mafie stanno informando come vorrebbero le mafie. E così escono particolari appena accennati su eventuali miei “errori” che non vengono mai raccontati. Per infilare il dubbio con un’informazione che teme i dubbi quasi più dei fatti. So chi sono, so perché lo fanno e so qual è il gioco “grande” che ci sta dietro.
So che piccole persone dall’animo piccolo si rotolano in tutta questa polvere per piccole vendette personali e non hanno nemmeno la faccia di non sorridermi quando mi incrociano.
So chi sono i pezzi della “classe dirigente” istituzionale e militare che stanno tremando per eventuali approfondimenti. So bene chi sono i politici che potrebbero essere collegati a questa storia, li tengo sempre a mente sulla punta delle dita.
So che le mafie sono un problema politico. L’ho imparato fin da piccolo. E che la politica ci è dentro fino al collo nelle responsabilità di considerare scassaminchia qualcuno convergendo (pur con altri stili) con i cattivi che almeno non fingono di non essere cattivi.
Io so che alcuni particolari svelati dal pentito Bonaventura erano di mia conoscenza già da mesi. Lo so io, lo sa chi ha verbalizzato e anche quelli che hanno finto di farlo e poi nascosto tutto. Anzi, adesso lo sanno anche loro.
So quali prefetture, quali altri graduati non avranno risposte convincenti su domande che galleggiano da anni. E che ora sono tema d’indagine.
So che minimizzare superficialmente è ciò che di meglio la mafia si aspetta e puntualmente arriva.
So, non è nemmeno difficile, capire la linea che porta dai De Stefano nella lontana Calabria a Buccinasco, Corsico, EXPO e qualche ex assessore. L’ho recitato e scritto. E’ tutto lì e continuerò a parlarne ancora più forte.
So anche che chi doveva raccogliere il mio invito lo sta facendo (i buoni) e ora vale la pena preparare il racconto di chi sembra zitto e invece parla con chi non dovrebbe.
E so che un pezzo non condizionabile di questo Paese ha il cuore pulito e la voglia di rialzare la testa.
Lavoriamo sodo, lavoriamo fitto.

Il mio cane e il frigorifero ieri sera sono diventati renziani - di Alessandro Robecchi


 4 settembre 2013 alle ore 15.30

   Il mio cane, che è saggio e anziano, a un passo dalla rottamazione, è diventato renziano ieri sera. Me l’ha comunicato con una piccola conferenza stampa davanti alla sua ciotola, in cucina. Sempre in cucina, anche il frigorifero – bersaniano di ferro fino a ieri – si è schierato con Renzi, stringendo un patto con il forno a microonde, il quale – tecnologicamente più avanzato – ha fatto l’elogio di Tony Blair, Jovanotti, Fonzie, Ufo Robot, magnificando gli anni 80 e concludendo che, siccome serve innovazione, lui sta con Renzi. Dario Franceschini, altro utile elettrodomestico del Pd, ha fatto il suo endorsement pro-Renzi sconvolgendo un po’ tutti. Essendo stato mariniano, poi dalemiano, poi veltroniano, poi bersaniano e poi lettiano, non gli sembra vero di salire sul carro di uno che potrebbe anche vincere. Probabilmente gli sembra l’unico modo possibile di rimanere franceschiniano. La mia macchina, docile in pianura e persino veloce, si è impuntata alla prima salita dicendo che o si sale con Renzi o si resta per sempre in pianura, qui, nella palude. Beppe Fioroni, che di Renzi ha detto peste e corna fino all’altro ieri, è diventato renziano nel corso di una toccante cerimonia: accortosi che i fioroniani non esistono ha deciso di fare inversione a U e ora appoggia il sindaco, anzi dice che   ha già vinto e che è praticamente il candidato unico al congresso. Possiedo uno smartphone di lusso che ieri sera si è acceso da solo e mi ha comunicato che lui sta con Renzi, perbacco, poi ha declamato brani di Baricco per un’ora, finché avevo i nervi come corde di violino. Veltroni è da tempo schierato con Renzi e si porta dietro il   piccolo esercito dei veltroniani, parlandone da vivi. Fassino, una giovane promessa del Pd, si schiera con Renzi senza se e senza ma, dicendo che è il suo momento.    Dall’insalatona greca che ho messo insieme con tanto amore per non abbandonare l’idea dell’estate, è saltata fuori un’oliva nera che mi ha fatto capire che sta con Renzi, e che anche i pomodori sono quasi tutti convinti di fare questo salto per il bene del paese e del partito. Fanno qualche resistenza le cipolle, ancorate a vecchi schemi, ma presto aderiranno anche loro al nuovo corso. Mi è passata la fame. Massimo D’Alema, invece, resta contrario ma non ostile, continua a sostenere Gianni Cuperlo perché pensa che essere uno dei pochi in una buona minoranza dialogante sia meglio che   essere uno dei tanti in una maggioranza pressoché unanime, che sarebbe poi la sindrome morettiana del “mi si nota di più se sto con Renzi, se sto contro, o se sto contro e me ne sto in un angolino…”. In tutta la casa, solo un’antica cassapanca e un orribile centrino all’uncinetto dono di una vecchia zia sono rimasti bersaniani, ma la loro voce è flebile e incerta.   Dunque, sembra evidente che Matteo Renzi sarà il nuovo segretario del Pd perché finalmente tutti i rottamandi si decidono a passare dalla parte del rottamatore nella speranza di non essere più rottamati. Bisogna dare atto al giovane Renzi che ultimamente dice meno scemenze, che cita un po’ meno Tony Blair – uno che ha fatto alla sinistra quello che Barbablù faceva alle mogli – Mazinga, Mary Poppins e altri talenti della politica. Ora che tutti quelli che voleva rottamare fanno il tifo per lui, probabilmente, dovrà cercarsi un lavoro, tipo il segretario del Pd e magari il candidato premier, una faccenda dinamica e moderna che sancisce il trionfo di tutta l’area ex-democristiana del partito. Innovazione, insomma, mica pippe.    @AlRobecchi 

Via il conflitto, restano gli interessi


 

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Il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione continua a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un comune sentire ad personam che ha stravolto tutto.

di Marco Travaglio, da L'Espresso, 30 agosto 2013

Nel 1995 l'Italia votò i referendum per una severa antitrust nel mercato della tv e della pubblicità. Ma il combinato disposto fra il solito disimpegno della sinistra per il Sì e il bombardamento delle reti Fininvest per il No li fece fallire: il 55-57 per cento degli italiani votò per lasciare le cose come stavano. Norberto Bobbio osservò amaro: «Il motivo principale per cui Berlusconi ha vinto il referendum che tendeva a diminuire il suo potere televisivo è stato il fatto stesso che aveva questo potere» e invitò i promotori a continuare la lotta contro la legge Mammì, perché l'esito dei referendum «è la prova che avevano ragione coloro che vi si sono opposti... e continueranno a opporsi con maggiore abilità, spero, per la sorte della nostra democrazia». Sono trascorsi 18 anni e il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione ha continuato a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un "comune sentire" ad personam che ha stravolto tutto: la Costituzione, le leggi, la logica, perfino il buonsenso.

La prova decisiva è proprio quanto sta accadendo dopo la sua prima condanna definitiva, al termine di un lungo inseguimento dei giudici iniziato ben prima del suo ingresso in politica. Oggi, per dire, si discute animatamente sulla sua permanenza o meno in Parlamento, in base a una legge Severino che ha visto spuntare dal nulla un nugolo di critici non appena s'è posto il problema di applicarla a lui. Senza il supporto dei suoi giornali e tv, il Cavaliere pregiudicato sarebbe disarmato di argomenti: nessun giornale indipendente sarebbe andato a scovare presunti giuristi disposti ad affermare che il decreto varato otto mesi fa per escludere i condannati dal Parlamento non vale per chi i reati li ha commessi prima.

Se, poniamo, si facesse una legge per vietare ai condannati per pedofilia di insegnare nelle scuole, nessuno si sognerebbe di sostenere che un pedofilo è stato condannato ingiustamente, o di pedinare e screditare i giudici che l'han condannato, o di chiedere che continui a insegnare perché ha molestato bambini prima del varo della legge. Specie se il pedofilo avesse votato la legge che esclude i pedofili dall'insegnamento. E se il pedofilo pretendesse di restare fra i banchi di scuola, verrebbe massacrato da tutta la stampa, con ampi particolari del suo gravissimo delitto. Ma un pedofilo non farebbe mai una cosa simile: anzi sparirebbe per la vergogna della condanna.

Difficilmente infatti controllerebbe giornali e tv, stipendiandone i giornalisti. Invece, mutatis mutandis, è proprio per questo che tanti giornali e tv pedinano e screditano i giudici che han condannato Berlusconi (costringendoli a replicare e poi dicendo che parlano troppo e sono "schierati"); occultano totalmente il suo gravissimo reato; e sostengono che la legge da lui stesso votata otto mesi fa su decadenza e incandidabilità dei condannati per lui non vale: il condannato quei giornali e tv li possiede e quei giornalisti li stipendia. Infatti, anziché andare a nascondersi per la vergogna di una condanna per frode fiscale, tiene comizi, rifonda partiti, raduna truppe, detta condizioni al governo, al parlamento e al capo dello Stato. E tutti lo stanno a sentire.

Anche le figure e le testate "indipendenti" o "terziste", che confondono l'imparzialità con l'ignavia e ritengono che la giusta posizione sia sempre la via di mezzo fra la sua e quella dei suoi avversari. Così, più sono insensate, illegali, incostituzionali, illogiche le posizioni di Berlusconi, più si spostano verso di lui gli "indipendenti" e i "terzisti". I quali vent'anni fa davano per scontata l'ineleggibilità di chi aveva il conflitto d'interessi e l'esigenza di una legge per eliminarlo, mentre oggi l'hanno rimosso e ne sono le vittime più o meno consapevoli. Infatti, sempre in equilibrio fra i pro e i contro, dibattono sul diritto del condannato a restare (e a tornare per l'ottava volta) in Parlamento, senza più rammentare che in Parlamento non avrebbe mai potuto entrarci, neppure da incensurato. Il conflitto d'interessi è alla sua massima apoteosi, ma nessuno lo nota più: proprio a causa del conflitto d'interessi.

(30 agosto 2013)

La sinistra e il tabù dell’uscita dall’euro


 

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di Enrico Grazzini

Finalmente una testata autorevole per la sinistra europea come Le Monde Diplomatique ha pubblicato in prima pagina un lungo e argomentato articolo titolato “Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua” [1]. L'articolo rompe un tabù: finora “solo” gli economisti anglosassoni, qualche isolato economista europeo e italiano considerato originale e strambo [2], e qualche formazione estremista, soprattutto di destra, hanno osato parlare della possibilità di uscire dall'euro. Finalmente, grazie all'autorevolezza riconosciuta della testata francese (certamente non estremista), dovrebbe essere possibile avviare anche in Italia un dibattito critico e approfondito sull'euro e sull'Unione Europea, senza illusioni romantiche sul radioso avvenire dell'Europa, senza subalternità ideologiche e senza censure. Gran parte della sinistra italiana, sia quella tradizionale che quella cosiddetta radicale e alternativa, finora ha chiuso occhi, orecchie e bocca sulla moneta unica europea: ma la sinistra dovrebbe cominciare a ripensare radicalmente l'euro e riconoscere che l'Unione Europea ha cambiato natura genetica rispetto agli ideali originari [3].

La sinistra finora ha ignorato la drammaticità del problema della moneta unica. Ma non dovrebbe assolutamente lasciare alla destra fascisteggiante, reazionaria e sciovinista il monopolio della protesta sulla questione scottante dell'euro e della sovranità nazionale. Sollevare il problema dell'euro tedesco non dovrebbe essere considerato sintomo di bieco nazionalismo: la sinistra dovrebbe invece affrontare con coraggio il problema se non vuole che il populismo di destra – alla Le Pen, alla Berlusconi o alla Bossi, che sono molto critici verso l'euro e la UE – si affermi facilmente presso le fasce popolari. Anche perché ormai, come vedremo, i sondaggi indicano che l'euro e l'Unione Europea sono visti dall'opinione pubblica certamente più come un problema che come una soluzione.

La sinistra dovrebbe addirittura spingersi a proporre un referendum sulle drammatiche questioni dell'euro e del fiscal compact. Questa proposta non dovrebbe essere tacciata pregiudizialmente di populismo. Al di là dei risultati del voto popolare, avrebbe comunque il merito di rilanciare la discussione su due problemi fondamentali: l'euro a direzione tedesca e la sovranità nazionale come forma basilare e irrinunciabile di democrazia. Una consultazione pubblica a livello nazionale è difficile da realizzare ma sarebbe salutare. Infatti è indubbio che allo stato attuale i popoli dell'Europa si possano esprimere democraticamente solo a livello nazionale. Il popolo europeo non esiste ancora come popolo sovrano, è troppo diviso e frammentato in lingue, culture, situazioni e aspirazioni diverse per riuscire a esprimersi democraticamente. Il popolo dell'Europa non è neppure rappresentato dalle istituzioni europee che sono fondamentalmente interstatali - a parte il Parlamento Europeo, che però, pur essendo eletto, ha pochissimi poteri -. Referendum sulle questioni europee e sull'euro sono stati tenuti in paesi come Francia, Olanda, Danimarca, Svezia e Irlanda. Perché allora non avviare anche in Italia un ampio dibattito e cercare il voto popolare su una questione centrale che impatta drammaticamente la vita dei cittadini? I popoli sono spesso più saggi dei politici e non si dovrebbe avere timore della democrazia.

Non facciamoci illusioni. La crisi dell'euro e quindi dell'Unione Europea continuerà e probabilmente precipiterà. Purtroppo non stiamo uscendo dalla crisi, come afferma il governo Letta. Ha ragione Le Monde Diplomatique quando afferma che l'euro genera un'austerità senza fine, e che è quasi certo che, comunque vada, la moneta unica cesserà di esistere. La scienza economica non è una scienza esatta e il futuro è intrinsecamente imprevedibile. Tutte le previsioni sono degli azzardi. Ma l'euro così come è attualmente è insostenibile e irriformabile semplicemente perché la Bundesbank e la politica tedesca non vogliono riformarlo. Molte persone colte e competenti possono suggerire alla Germania che cosa dovrebbe fare per superare l'austerità e rinvigorire l'Europa [4]: ma è inutile perché i governanti tedeschi non hanno la volontà e l'interesse a seguire i consigli altrui. L'alternativa reale sembra questa: o la speculazione internazionale romperà l'eurozona e provocherà il caos, o i paesi dell'eurozona concorderanno in qualche maniera la rottura della moneta unica per salvare almeno parzialmente l'Unione Europea [5]. Le Monde propone realisticamente di “fare un passo indietro” e di passare dalla moneta unica a una “moneta comune” concordata, che permetta però valute nazionali autonome. Ma al di là della questione cruciale di come uscire dalla camicia di forza della moneta unica, il problema dell'euro non è solo economico e tecnico, ma anche e soprattutto politico, democratico, istituzionale, e riguarda direttamente il presente e il futuro dell'Unione Europea.

La morte dell'Europa democratica e federale

Quasi certamente gli storici ricorderanno questo periodo come quello della morte dell'idea nobile dell'Europa come unione volontaria e paritaria degli stati in una entità solidale, federata, democratica e cooperativa. L'Unione Europea sta agonizzando e ha modificato il suo DNA proprio con la nascita dell'euro. Gli italiani erano tra i più entusiasti dell'Unione Europea, la consideravano come un progresso democratico, come un passo verso la modernità e come fattore di sviluppo. L'Unione Europea oggi appare piuttosto come il duro e autoritario guardiano sovranazionale dei “compiti” che ogni Stato deve fare “a casa” per abbattere il welfare e fare regredire il benessere popolare. Non è più possibile nutrire illusioni romantiche: esiste ormai un abisso incolmabile tra le idee del Manifesto di Ventotene, gli sforzi di De Gasperi, Adenauer e Shuman per costruire una Europa unita e pacifica, e l'Unione Europea attuale. I trattati e i vincoli europei, a partire dal trattato di Maastricht (definito “stupido” da Romano Prodi) e quello di Lisbona, delineano una Unione Europea ultraliberista e autoritaria. Il ritornello della campagna elettorale di Angela Merkel è questo: “l'Europa il 7% degli abitanti nel mondo, il 25% del prodotto totale il 50% delle spese per il welfare: non possiamo più permettercelo” e quindi ogni Stato deve fare i “compiti a casa” per ridurre la spesa sociale e aumentare la produttività. In questo contesto e in base a questa ideologia di centrodestra, l'Unione Europea è diventato il ragioniere che controlla la riduzione dei bilanci sociali dei singoli stati, e il poliziotto vigile che cura lo svolgimento dei “compiti a casa” indipendentemente dalla volontà popolare, e anzi contro la volontà popolare. Dopo i diktat, le sanzioni e le multe sono dietro l'angolo.

Il risveglio della potenza tedesca e l'egemonia sull'Europa
Spesso l'Europa è stata accusata di essere l'Europa dei banchieri e delle banche: ma questa accusa non è più vera. E' superata dalla realtà, e in peggio. La UE è l'Europa delle banche e della finanza tedesca e degli altri paesi creditori del Nord Europa, come Olanda e Finlandia, che guadagnano dalla crisi europea. Sulla volontà egemonica tedesca sull'Europa vale la spiegazione data (e riportata da questo sito) da Marco D'Eramo [6]. Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, la Germania sta uscendo prepotentemente dalla subalternità e, grazie al successo della sua unificazione, pretende il suo posto preminente in Europa e nel mondo globale. Vuole affermare la sua potenza e la sua autonomia. Non a caso, contrariamente ad altre potenze occidentali, ha deciso, per esempio, di non partecipare alle azioni militari in Libia e in Siria.

Le Monde indica che l'euro – così come è stato costruito secondo i dettami della Germania socialista di Schroeder e della democristiana Merkel – contrasta la sovranità dei popoli e dei singoli stati. E' in gioco niente di meno che la sovranità nazionale dal momento che la politica monetaria è decisa dalla Banca Centrale Europea e che anche la politica fiscale dei singoli stati è dettata dalla Germania e da trattati intergovernativi capestro, come quello del fiscal compact che produrrà effetti disastrosi (impone infatti una rapidissima e automatica riduzione delle spese pubbliche anche nei periodi di crisi, strozzando l'economia e il welfare [7]). Non è esagerato affermare che l'Unione Europea è diventata il gestore del neocolonialismo finanziario a guida tedesca. E come tutte le forme neocoloniali, la UE opprime gli stati subalterni, li rende servili, impedisce la loro crescita e schiaccia le classi popolari e i ceti medi. Per i popoli europei diventa impossibile decidere democraticamente e con un minimo di autonomia il proprio destino.

Il vero e grave limite della politica tedesca di austerità consiste però nel fatto che è talmente rigida, assurda e controproducente da diventare insostenibile. Secondo la maggioranza degli economisti anglosassoni è difficile che l'euro possa resistere: la politica di austerità alimenta la crisi e divarica drammaticamente le nazioni europee, già così differenti dal punto di vista economico, sociale e politico. Per la Merkel tutti gli stati europei dovrebbero essere più produttivi, più competitivi, ottenere surplus commerciali per ridurre i debiti esteri e raggiungere il pareggio del bilancio pubblico, proprio come fa la Germania. Ma il modello mercantilista tedesco fondato sull'abnorme surplus dell'export non può essere trasferito a tutti i paesi europei. E' insostenibile. Il tentativo vero della Merkel è probabilmente di indebolire e subordinare gradualmente gli altri paesi UE senza però farli crollare del tutto, fino a dominare di fatto l'economia europea: ma questo gioco è estremamente pericoloso e incerto, ed è probabile che si riveli impraticabile.

L'insostenibilità del modello tedesco e la proposta di Le Monde Diplomatique

Per salvarsi, alcune economie indebitate e in deficit commerciale, meno produttive, dovrebbero svalutare, mentre la Germania dovrebbe rivalutare in maniera tale da contenere il suo avanzo commerciale con gli altri paesi europei. La proposta di Le Monde è che gli stati europei concordino di passare da una moneta unica a un sistema di cambi fissi intraeuropei: l'euro rimarrebbe però come moneta comune sui mercati internazionali di fronte al dollaro e alle altre valute extraeuropee. Il punto debole di questo piano è che appare troppo razionale per essere applicato nel contesto dell'attuale egemonia finanziaria tedesca. È più probabile che la Germania continui a gestire la crisi per tentare di raggiungere il dominio economico, e che però alla fine il tentativo fallisca e porti alla rottura incontrollata dell'euro. Le incognite per il mantenimento dell'euro attuale sono troppo numerose: il risultato delle elezioni tedesche; la sentenza della Corte Costituzionale tedesca; la ripresa della speculazione internazionale conseguente alla stretta prevista della Federal Reserve; la crescita dei debiti dei paesi del sud Europa; il possibile fallimento di qualche banca europea. Inoltre nuovi movimenti politici (di destra o di sinistra) potrebbero scatenarsi contro il fiscale compact, la riduzione drastica del welfare e le imposizioni autoritarie della UE. In effetti la costruzione di questa Europa ultra-autoritaria a guida tedesca si dimostra sempre più complessa e sempre più improbabile. Gli stati litigano già sul bilancio europeo e riducono i finanziamenti alla UE; in Germania l'opinione pubblica considera lazzaroni e sfaticati i paesi del sud Europa; la Gran Bretagna medita di uscire dalla UE; la Spagna ha perfino iniziato a lottare contro i resti dell'impero britannico a Gibilterra, mentre la Grecia reclama il pagamento dei debiti di guerra al governo tedesco. La solidarietà europea sta cedendo di fronte alla competizione generata dall'euro a guida tedesca. E la Merkel non vorrà mai una Europa federata che metta a rischio l'autonomia e l'egemonia tedesca. Non a caso la Germania opera soprattutto attraverso trattati intergovernativi al di fuori della UE. Il fiscal compact è un trattato intergovernativo e il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), detto anche Fondo salva-stati, è stabilito da un accordo tra governi.

L'Europa senza consenso popolare

Si sta costruendo un'Europa senza consenso popolare. L'opinione pubblica europea è sempre più contraria a questa Europa e a questo euro. Lo dimostrano i risultati della rilevazione compiuta a livello europeo da parte dell'autorevole e neutrale Pew Research Center condotta nel maggio 2013 e significativamente intitolata: “Il nuovo malato d'Europa: l'Unione Europea stessa” [8]. Secondo questa indagine la fiducia verso la UE è al punto più basso dalla sua creazione. La UE è vista con favore da meno della metà della popolazione europea, cioè dal 45% del totale (rispetto al 60% del 2012). In Grecia solo il 33% è favorevole alla UE, in Francia e in Gran Bretagna solo il 41-43%, in Spagna il 46%. Solamente in Germania (60%) e in Italia (58%) resiste un'opinione pubblica maggioritaria favorevole alla UE. Tuttavia la fiducia verso la UE sta crollando a causa della crisi economica: dal 2007 al 2013 il sentimento positivo verso lo stato dell'economia è sceso di 61 punti in Spagna, 54 in Gran Bretagna, 22 in Italia, 21 in Francia e nella Repubblica Ceca. Le divaricazioni aumentano. Tutte le nazioni europee meno la Germania vedono nell'occupazione il problema principale. Secondo l'opinione pubblica di tutti i paesi europei, meno la Germania, i politici nazionali gestiscono male l'Unione Europea. La crisi economica sta “creando forze centrifughe che dividono l'opinione pubblica europea, separando in particolare la Germania da tutti gli altri paesi europei”, in particolare dai francesi e dai paesi del sud Europa. Solo l'1% dei Greci, il 3% degli italiani e il 9% dei francesi sono soddisfatti della situazione economica attuale, contro il 75% dei tedeschi. Il 60% degli europei (e il 90% dei francesi) pensa che i figli staranno peggio dei padri. Il 77% crede che questo sistema favorisca solo i ricchi. L'85% ritiene che il gap tra i ricchi e poveri sia aumentato negli ultimi cinque anni, e il 66% pensa che questo gap costituisca un grave problema.

In Grecia il 78% ritiene che l'appartenenza alla UE abbia indebolito l'economia: la pensano allo stesso modo il 75% degli italiani e il 60% degli spagnoli. La maggioranza guarda sfavorevolmente a Bruxelles e ad una maggiore integrazione europea. A dispetto della crisi e delle disillusioni su Bruxelles e l'Unione Europea, il 69% dei greci, il 67% degli spagnoli, il 66% dei tedeschi, il 64% degli italiani e dei francesi vogliono però mantenere l'euro. Forse l'euro viene percepito come un male ormai irreversibile e l'uscita è considerata più dannosa che benefica. Comunque i sondaggi parlano chiaro: l'Europa è deludente ed è un problema in cerca di soluzione.

Ovviamente non si tratta di decidere le proprie politiche in base ai sondaggi, ma di prendere atto che il sentimento popolare verso l'Europa sta rapidamente e radicalmente cambiando, e di tenere conto della percezione negativa della UE. Spesso l'opinione pubblica è più ragionevole e critica dei politici, degli economisti e dei tecnocrati. Non si tratta evidentemente di rinunciare all'Europa unita e di essere “meno europeisti”: si tratta invece di prendere finalmente atto della realtà politica attuale, senza illusioni e idee preconcette.

Opporsi a questa Europa per un'altra Europa possibile

Occorre contrastare questo euro fallimentare e la passiva subalternità dei governi italiani (e del centrosinistra) alle politiche tedesche ed europee. Si tratta di denunciare il fiscal compact e questa Europa autoritaria e neocoloniale, di prepararsi alla rottura della moneta unica, e di ritornare all'idea originaria di una Europa democratica e cooperativa. Bisogna iniziare una battaglia culturale e politica per modificare sostanzialmente i trattati esistenti e costruire un'altra Europa. Un'Europa in cui le sovranità nazionali non vengano schiacciate, un'Europa magari con un euro comune ma (come suggerisce Le Monde) anche con monete nazionali il cui valore sia concordato. E' auspicabile una Europa non presidenziale ma in cui il Parlamento – magari con due camere, una eletta dal popolo, l'altra rappresentativa degli stati membri – conti davvero e generi un governo condiviso senza gerarchie schiaccianti tra gli stati. Occorreranno certamente più tempo e maggiori sforzi per costruire l'Europa dei popoli: ma è questa l'Europa che vogliamo.

NOTE

[1] Frederic Lordon, Le Monde Diplomatique - il manifesto, agosto 2013, “Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua”
[2] Per citare solo gli autori italiani critici più recenti verso l'euro, ricordiamo Bagnai Alberto: “Il tramonto dell'euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa” Editore Imprimatur, 2012; Emiliano Brancaccio, Marco Passarella, “L'austerità è di destra. E sta distruggendo l'Europa” Il Saggiatore, 2012 ; Bruno Amoroso, Jesper Jesperson, “L' Europa oltre l'Euro: le ragioni del disastro economico e la ricostruzione del progetto comunitario” Lit Edizioni, 2012; Loretta Napoleoni, “Democrazia vendesi - Dalla crisi economica alla politica delle schede bianche, Rizzoli, 2013; Marino Badiale, Fabrizio Tringali “La trappola dell'euro”, Asterios Editore, 2012
[3] Chi scrive si è visto rifiutare la pubblicazione di un articolo critico sull'euro da parte di Sbilanciamoci.info, l'organismo vicino a SEL, che pure vorrebbe essere aperto e proporre politiche alternative di sinistra. L'articolo in questione è stato pubblicato da MicroMega: “Lafontaine e la trappola dell’euro”, 21 maggio, 2013.
[4] Vedi per ultimo Luciano Gallino su Micromega, da Repubblica, 26 agosto 2013: “I debiti della Germania e l’austerità della Merkel
[5] Vedi anche di Enrico Grazzini: MicroMega, 27 giugno 2013, “Occorre una svolta: ultimatum alla Merkel oppure uscire dall’euro
[6] Marco d'Eramo, vedi Micromega dal Manifesto, 14 dicembre 2011: “La strategia di Berlino vista da Washington”. “L'obiettivo (della Merkel) è la reinserzione a pieno titolo della Germania nel novero delle grandi potenze planetarie, ovvero l'abrogazione totale dell'ordine uscito dalla seconda guerra mondiale e dagli accordi di Potsdam (1945)..... Non dimentichiamo mai che l'euro è sentito dalla Germania come l'ultimo diktat derivato dalla sconfitta, come una prigione, cioè proprio quello per cui era stato pensato. Non è difficile perciò immaginare che i tedeschi provino una vera e propria Schadenfreude (termine che meravigliosamente sintetizza la 'gioia provata per le disavventure altrui') quando l'euro si ritorce contro chi l'aveva imposto e da camicia di forza della potenza tedesca diventa invece l'arma di punta del suo arsenale economico-finanziario”.
[7] Luciano Gallino, La Repubblica, 8 gennaio 2013 “Il baratro fiscale dell'agenda Monti”
[8] Pew Research Center, Maggio 2013: “The New Sick Man of Europe: the European Union. French Dispirited; Attitudes Diverge Sharply from Germans”.

(28 agosto 2013)