giovedì 1 maggio 2014

Portella della Ginestra, la prima strage dell’Italia repubblicana

   Portella della Ginestra, la prima strage dell’Italia repubblicana

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112223

di Federico La Mattina per Marx21.it

portelladellaginestra porcasiIl primo maggio 1947 a Portella della Ginestra, in Sicilia, si consumava la prima strage dell’Italia repubblicana. Migliaia di lavoratori provenienti da San Giuseppe Jato, San Cipirrello e Piana degli Albanesi si erano riuniti sul pianoro di Portella della Ginestra seguendo un’antica tradizione risalente a fine ‘800, impedita durante il fascismo. La festa venne interrotta da intense scariche di mitra che provocarono – secondo i dati ufficiali – la morte istantanea di undici persone e ne ferirono una trentina. I tribunali di Viterbo e Roma affibbiarono tutta la responsabilità della strage al bandito Giuliano e alla sua banda, formulando un giudizio de facto compatibile con gli interessi delle forze politiche che all’indomani degli eventi di Portella avevano fornito (volontariamente) una versione estremamente riduttiva della strage, minimizzando e negando il carattere politico della stessa. L’efferata strage di Portella si inserisce all’interno di una particolare congiuntura storico-politica per analizzare la quale è impossibile scindere la dimensione locale del massacro dagli avvenimenti politici italiani e internazionali. E’ utile a tale proposito riepilogare i principali eventi che fanno da sfondo al primo maggio 1947, senza la comprensione dei quali è impossibile cogliere la dimensione politica della strage siciliana che si colloca in un momento storico caratterizzato dal riassetto degli equilibri internazionali.

La questione agraria, di antica origine, si ripropose in Sicilia in modo dirompente all’indomani della caduta del fascismo; era presente un forte movimento contadino che si proponeva di destrutturare il sistema latifondista ( il latifondo interessava ancora il 27% della proprietà fondiaria). A livello nazionale, il ministro comunista Fausto Gullo (ministro dell’agricoltura del secondo governo Badoglio), soprannominato “ministro dei contadini”, avviò tra il 1944 e il 1946 un coraggioso processo di riforme che dava manforte al movimento contadino e sin dal 1944 Girolamo Li Causi, segretario del PCI siciliano, aveva portato avanti il radicamento dei comunisti nel territorio. Il decreto-legge n. 279 del 19 ottobre 1944, emanato del ministro Gullo, prevedeva l’assegnazione delle terre incolte ai contadini singoli e associati in cooperative, l’assegnazione dei prodotti nella mezzadria impropria e nella compartecipazione e la riduzione dei canoni di affitto. Nell’estate del ’44 venne emanato un decreto-legge sulla fissazione del prezzo del grano. A detta dello storico siciliano Francesco Renda – scomparso di recente – i decreti Gullo << costituirono nel complesso l’iniziativa forse più importante dei governi di unità nazionale, che non si sovrappose alla iniziativa dal basso delle masse contadine, ma ne favorì la crescita sul piano organizzativo e politico, e ne rese possibile la mobilitazione con obiettivi concretamente definiti […] >>. (Renda, 1976, 44) La questione meridionale si configura quindi come una questione nazionale. I proprietari terrieri, le forze conservatrici e la mafia erano interessati a frenare tale movimento di natura democratica e di indirizzo socialista. Scrive lo storico Giuseppe Casarrubea:Di fatto, mafia, latifondo e politica centrista, dopo l’instabilità provocata dalla caduta del fascismo nel senso della riapertura dei giochi per il controllo del territorio, riscoprono le forme di un nuovo equilibrio socio-statuale, capace di coinvolgere la società, l’economia e le spinte istituzionali, nel governo della cosa pubblica, trovando uno snodo nel comune interesse contro le riforme e gli indirizzi determinati dalle leggi Segni-Gullo. […] (Casarrubea, 1997, 82)Il 1946 e il 1947, con in mezzo la strage di Portella, furono anni carichi di violenza perpetrata contro la sinistra ad opera di mafiosi e banditi: assalti armati alle Camere del Lavoro e alle sezioni di partito, uccisioni mirate di contadini, sindaci comunisti e socialisti e dirigenti sindacali. Non si tratta di fenomeni isolati né tanto meno di comune delinquenza ma di una enorme ondata di violenza volta a frenare il movimento dei lavoratori e l’avanzata delle sinistre. Tutto ciò avvenne peraltro in un contesto di impunità.In occasione delle elezioni regionali tenutesi in Sicilia il 20 aprile 1947 il Blocco del Popolo – coalizione formata da PCI e PSI – si affermò come prima forza politica con il 29.13%, ottenendo la maggioranza relativa dei voti. Le elezioni decretarono il fallimento del progetto separatista e la Democrazia Cristiana con il 20.52% era il principale partito in grado di contrastare il ‘pericolo bolscevico’. Durante il 1947 imponenti manifestazioni contadine erano sfociate in occupazioni di terre e il risultato elettorale del 20 aprile non rassicurava certamente i blocchi di potere che vedevano in tale movimento il principale avversario da combattere. Persa la partita sul campo del separatismo, agrari e destra reazionaria – con convergenza mafiosa – si ritrovarono a dovere contrastare le sinistre sia sul versante dello Stato nazionale, sia su quello dell’autonomismo regionale.E’ importante considerare il mutamento degli equilibri nazionali: nel maggio del ’47 i comunisti vennero estromessi dal governo dopo il viaggio di De Gasperi negli USA e poco dopo l’Italia aderì al Piano Marshall. L’Italia faceva parte del blocco Occidentale e la ‘normalizzazione’ della neo-repubblica necessitava una chiara svolta anticomunista. Anche in Francia il Partito Comunista Francese – che aveva ottenuto il 28.3% alle elezioni legislative del 1946 – venne escluso dal governo nel 1947. La strage di Portella, compiuta pochi giorni dopo il trionfo elettorale del Blocco del Popolo, rappresentava un messaggio di sangue per i comunisti sia a livello regionale che nazionale: non era possibile per loro andare al governo o favorire processi di cambiamento democratico. Il banditismo, a tutt’oggi ufficiale responsabile della strage di Portella, << non si esercitò più nella sua forma tradizionale, ma fu incorporato in una elementare e confusa ideologia politica, divenendone parte organica, contro l’avanzare impetuoso del movimento contadino, e le sue conquiste nazionali e regionali >> (Casarrubea,1997,77).Recenti ricostruzioni della strage portate avanti grazie agli archivi del dipartimento di Stato USA e dell’Oss (servizi segreti statunitensi) ipotizzano la presenza di diversi gruppi di fuoco che possedevano armi in dotazione alla Decima Mas di Junio Valerio Borghese e agli americani, sulla base dei rapporti tra neofascisti, mafia e servizi segreti statunitensi. La strage serviva quindi a decretare la fine dell’unità nazionale, provocare una sollevazione da parte di comunisti e socialisti ( che non avvenne) a cui contrapporre una dura reazione repressiva.Il 2 maggio 1947, in sede di Assemblea Costituente, si discusse della strage di Portella. Il Ministro dell’Interno Mario Scelba escluse il carattere politico della strage. In quell’occasione intervenne Girolamo Li Causi, segretario del PCI siciliano e membro della Costituente. Si riporta un passo:Onorevoli colleghi, debbo immediatamente dichiarare che non sono niente affatto soddisfatto dalle dichiarazioni del Ministro dell’interno, onorevole Scelba, perché il modo politico con cui egli ha voluto esprimere un giudizio sugli avvenimenti siciliani deve essere nettamente respinto da ogni cittadino onesto, indipendentemente dalla fede politica o religiosa […]Siamo di fronte ad un fatto che mostra la decisa volontà di provocare in Sicilia la guerra civile, di mantenere, specialmente dopo il responso del 20 aprile, l’Isola in uno stato di tensione, di torbida agitazione […]Il tribunale di Viterbo il 3 maggio 1952 pronunciò una sentenza in perfetta sintonia con la ricostruzione riduttiva e mistificante di Scelba. Scrive a tale proposito Giuseppe Casarrubea:La sentenza pronunciata il 3 maggio 1952 fu il primo grande capolavoro della magistratura italiana, il primo atto ufficiale di un potere dello Stato che agiva in perfetta sintonia con altri poteri, nei quali le ragioni di salvaguardia di soggetti e gruppi sociali ben definiti, prevalevano, di fatto, su quelle del diritto delle masse popolari e delle organizzazioni che le difendevano. Ragioni parallele che negavano persino l’evidenza dei fatti e convergevano, assieme, in un grande sistema di difesa della borghesia mafiosa, del conservatorismo filoagrario, del centrismo in nome del quale, lo stesso anno delle stragi, erano stati sbarcati i comunisti dal governo. […] (Casarrubea, 1997, 266)La strage di Portella, punto di snodo nella storia dell’Italia repubblicana, è il primo di una lunga serie di massacri impuniti che reclama ad oggi una giustizia mai pervenuta.Federico La Mattina


Riferimenti bibliografici

Casarrubea Giuseppe,  Portella della Ginestra: microstoria di una strage di Stato. Vol. 214. FrancoAngeli, Milano, 1997.Casarrubea Giuseppe, Storia segreta della Sicilia: dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra. Bompiani, Milano, 2005.Renda Francesco, Il movimento contadino in Sicilia e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari 1976.Portella della Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), Atti del Convegno (Piana degli Albanesi, 28-30 aprile 1997) a cura di Pietro Manali, SALVATORE SCIASCIA EDITORE, 1999.Scritti e discorsi di Girolamo Li Causi, Discorsi e interventi parlamentari, a cura di Giuseppe Cardaci, s.d., Istituto Gramsci Siciliano.
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 24 Maggio 2013

di Federico La Mattina per Marx21.it

portelladellaginestra porcasi
Il primo maggio 1947 a Portella della Ginestra, in Sicilia, si consumava la prima strage dell’Italia repubblicana. Migliaia di lavoratori provenienti da San Giuseppe Jato, San Cipirrello e Piana degli Albanesi si erano riuniti sul pianoro di Portella della Ginestra seguendo un’antica tradizione risalente a fine ‘800, impedita durante il fascismo. La festa venne interrotta da intense scariche di mitra che provocarono – secondo i dati ufficiali – la morte istantanea di undici persone e ne ferirono una trentina.
I tribunali di Viterbo e Roma affibbiarono tutta la responsabilità della strage al bandito Giuliano e alla sua banda, formulando un giudizio de facto compatibile con gli interessi delle forze politiche che all’indomani degli eventi di Portella avevano fornito (volontariamente) una versione estremamente riduttiva della strage, minimizzando e negando il carattere politico della stessa. L’efferata strage di Portella si inserisce all’interno di una particolare congiuntura storico-politica per analizzare la quale è impossibile scindere la dimensione locale del massacro dagli avvenimenti politici italiani e internazionali. E’ utile a tale proposito riepilogare i principali eventi che fanno da sfondo al primo maggio 1947, senza la comprensione dei quali è impossibile cogliere la dimensione politica della strage siciliana che si colloca in un momento storico caratterizzato dal riassetto degli equilibri internazionali.

La questione agraria, di antica origine, si ripropose in Sicilia in modo dirompente all’indomani della caduta del fascismo; era presente un forte movimento contadino che si proponeva di destrutturare il sistema latifondista ( il latifondo interessava ancora il 27% della proprietà fondiaria). A livello nazionale, il ministro comunista Fausto Gullo (ministro dell’agricoltura del secondo governo Badoglio), soprannominato “ministro dei contadini”, avviò tra il 1944 e il 1946 un coraggioso processo di riforme che dava manforte al movimento contadino e sin dal 1944 Girolamo Li Causi, segretario del PCI siciliano, aveva portato avanti il radicamento dei comunisti nel territorio. Il decreto-legge n. 279 del 19 ottobre 1944, emanato del ministro Gullo, prevedeva l’assegnazione delle terre incolte ai contadini singoli e associati in cooperative, l’assegnazione dei prodotti nella mezzadria impropria e nella compartecipazione e la riduzione dei canoni di affitto. Nell’estate del ’44 venne emanato un decreto-legge sulla fissazione del prezzo del grano. A detta dello storico siciliano Francesco Renda – scomparso di recente – i decreti Gullo << costituirono nel complesso l’iniziativa forse più importante dei governi di unità nazionale, che non si sovrappose alla iniziativa dal basso delle masse contadine, ma ne favorì la crescita sul piano organizzativo e politico, e ne rese possibile la mobilitazione con obiettivi concretamente definiti […] >>. (Renda, 1976, 44) La questione meridionale si configura quindi come una questione nazionale. I proprietari terrieri, le forze conservatrici e la mafia erano interessati a frenare tale movimento di natura democratica e di indirizzo socialista. Scrive lo storico Giuseppe Casarrubea:
Di fatto, mafia, latifondo e politica centrista, dopo l’instabilità provocata dalla caduta del fascismo nel senso della riapertura dei giochi per il controllo del territorio, riscoprono le forme di un nuovo equilibrio socio-statuale, capace di coinvolgere la società, l’economia e le spinte istituzionali, nel governo della cosa pubblica, trovando uno snodo nel comune interesse contro le riforme e gli indirizzi determinati dalle leggi Segni-Gullo. […] (Casarrubea, 1997, 82)
Il 1946 e il 1947, con in mezzo la strage di Portella, furono anni carichi di violenza perpetrata contro la sinistra ad opera di mafiosi e banditi: assalti armati alle Camere del Lavoro e alle sezioni di partito, uccisioni mirate di contadini, sindaci comunisti e socialisti e dirigenti sindacali. Non si tratta di fenomeni isolati né tanto meno di comune delinquenza ma di una enorme ondata di violenza volta a frenare il movimento dei lavoratori e l’avanzata delle sinistre. Tutto ciò avvenne peraltro in un contesto di impunità.In occasione delle elezioni regionali tenutesi in Sicilia il 20 aprile 1947 il Blocco del Popolo – coalizione formata da PCI e PSI – si affermò come prima forza politica con il 29.13%, ottenendo la maggioranza relativa dei voti. Le elezioni decretarono il fallimento del progetto separatista e la Democrazia Cristiana con il 20.52% era il principale partito in grado di contrastare il ‘pericolo bolscevico’. Durante il 1947 imponenti manifestazioni contadine erano sfociate in occupazioni di terre e il risultato elettorale del 20 aprile non rassicurava certamente i blocchi di potere che vedevano in tale movimento il principale avversario da combattere. Persa la partita sul campo del separatismo, agrari e destra reazionaria – con convergenza mafiosa – si ritrovarono a dovere contrastare le sinistre sia sul versante dello Stato nazionale, sia su quello dell’autonomismo regionale.E’ importante considerare il mutamento degli equilibri nazionali: nel maggio del ’47 i comunisti vennero estromessi dal governo dopo il viaggio di De Gasperi negli USA e poco dopo l’Italia aderì al Piano Marshall. L’Italia faceva parte del blocco Occidentale e la ‘normalizzazione’ della neo-repubblica necessitava una chiara svolta anticomunista. Anche in Francia il Partito Comunista Francese – che aveva ottenuto il 28.3% alle elezioni legislative del 1946 – venne escluso dal governo nel 1947. La strage di Portella, compiuta pochi giorni dopo il trionfo elettorale del Blocco del Popolo, rappresentava un messaggio di sangue per i comunisti sia a livello regionale che nazionale: non era possibile per loro andare al governo o favorire processi di cambiamento democratico. Il banditismo, a tutt’oggi ufficiale responsabile della strage di Portella, << non si esercitò più nella sua forma tradizionale, ma fu incorporato in una elementare e confusa ideologia politica, divenendone parte organica, contro l’avanzare impetuoso del movimento contadino, e le sue conquiste nazionali e regionali >> (Casarrubea,1997,77).Recenti ricostruzioni della strage portate avanti grazie agli archivi del dipartimento di Stato USA e dell’Oss (servizi segreti statunitensi) ipotizzano la presenza di diversi gruppi di fuoco che possedevano armi in dotazione alla Decima Mas di Junio Valerio Borghese e agli americani, sulla base dei rapporti tra neofascisti, mafia e servizi segreti statunitensi. La strage serviva quindi a decretare la fine dell’unità nazionale, provocare una sollevazione da parte di comunisti e socialisti ( che non avvenne) a cui contrapporre una dura reazione repressiva.Il 2 maggio 1947, in sede di Assemblea Costituente, si discusse della strage di Portella. Il Ministro dell’Interno Mario Scelba escluse il carattere politico della strage. In quell’occasione intervenne Girolamo Li Causi, segretario del PCI siciliano e membro della Costituente. Si riporta un passo:Onorevoli colleghi, debbo immediatamente dichiarare che non sono niente affatto soddisfatto dalle dichiarazioni del Ministro dell’interno, onorevole Scelba, perché il modo politico con cui egli ha voluto esprimere un giudizio sugli avvenimenti siciliani deve essere nettamente respinto da  ogni cittadino onesto, indipendentemente dalla fede politica o religiosa […]Siamo di fronte ad un fatto che mostra la decisa volontà di provocare in Sicilia la guerra civile, di mantenere, specialmente dopo il responso del 20 aprile, l’Isola in uno stato di tensione, di torbida agitazione […]Il tribunale di Viterbo il 3 maggio 1952 pronunciò una sentenza in perfetta sintonia con la ricostruzione riduttiva e mistificante di Scelba. Scrive a tale proposito Giuseppe Casarrubea:La sentenza pronunciata il 3 maggio 1952 fu il primo grande capolavoro della magistratura italiana, il primo atto ufficiale di un potere dello Stato che agiva in perfetta sintonia con altri poteri, nei quali le ragioni di salvaguardia di soggetti e gruppi sociali ben definiti, prevalevano, di fatto, su quelle del diritto delle masse popolari e delle organizzazioni che le difendevano. Ragioni parallele che negavano persino l’evidenza dei fatti e convergevano, assieme, in un grande sistema di difesa della borghesia mafiosa, del conservatorismo filoagrario, del centrismo in nome del quale, lo stesso anno delle stragi, erano stati sbarcati i comunisti dal governo. […] (Casarrubea, 1997, 266)La strage di Portella, punto di snodo nella storia dell’Italia repubblicana, è il primo di una lunga serie di massacri impuniti che reclama ad oggi una giustizia mai pervenuta.Federico La Mattina



Riferimenti bibliografici


Casarrubea Giuseppe Portella della Ginestra: microstoria di una strage di Stato. Vol. 214. FrancoAngeli, Milano, 1997.Casarrubea Giuseppe, Storia segreta della Sicilia: dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra. Bompiani, Milano, 2005.Renda Francesco, Il movimento contadino in Sicilia e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari 1976.Portella della Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), Atti del Convegno (Piana degli Albanesi, 28-30 aprile 1997) a cura di Pietro Manali, SALVATORE SCIASCIA EDITORE, 1999.Scritti e discorsi di Girolamo Li Causi, Discorsi e interventi parlamentari, a cura di Giuseppe Cardaci, s.d., Istituto Gramsci Siciliano.

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