lunedì 19 dicembre 2011

la donna araba docet !

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La vitalità delle donne del mondo, la stanchezza delle italiane Giovedì 01 Dicembre 2011 15:04 di Olga Mammoliti Severi 

Nell’immagine di quella donna tunisina dal bel volto fiero e gioioso, che ha fatto il giro del mondo, c’è tutta la forza del riscatto delle donne arabe del Magreb, fino a pochi mesi fa inimmaginabile. In quel mondo arretrato per quanto riguarda il ruolo sociale e i diritti umani, civili e politici della donna, l’ondata è ormai inarrestabile e contagiosa. Dalle prime elezioni democratiche in Tunisia alla democrazia che si sta costruendo in Iraq, dalla Turchia islamica ma laica ai moti della primavera araba in Egitto e Libia, dalla rivolta in Siria finora repressa nel sangue alla Yemen, ovunque protagoniste coraggiose sono le donne, giovani con i giovani, per rivendicare libertà e democrazia. Nessuna ottusa interpretazione religione e nessun egoismo etnico potrà arginare l’avvento di una liberazione della donna nei paesi arabi del Mediterraneo e del Medio Oriente. Persino in Arabia Saudita, la recente sfida per rimuovere il divieto a guidare l’auto imposto alle donne, per noi inconcepibile, ha strappato una più generale promessa di elezioni con diritto di voto anche alle donne. Solo promessa per ora, ma è la prova provata che quando le donne si ribellano ad un potere maschile medioevale nessuna autorità riesce ad arginare le rivendicazioni.
Non ci nascondiamo che in altre parti del mondo, si respira tuttora ben altra aria, avvelenata e inquinata, un’aria di morte e sopraffazione. Si chiama culto del maschio; produce violenza ed ogni sorta di discriminazione contro le donne, dalla nascita alla morte. Violenza persino preventiva, come in Cina dove la discriminazione demografica impone l’aborto se il feto è femmina, e verso le neonate femmine si spinge al più efferato dei delitti: l’uccisione dopo il parto, nelle prime ore e settimane. In modo non dissimile anche nelle aree più arretrate dell’ India, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, paesi in cui il potere maschile ha creato anche un detto popolare antifemminile: allevare una figlia è come annaffiare il giardino del vicino.
Eppure, anche in Asia le donne alzano la testa e la voce, ne sono simbolo Yingluck Shinawatra  la prima donna premier della Thailandia , Pratibha Patil. presidente dell’India. Infine, anche se non ricopre cariche pubbliche, Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana che è stata liberata nel Novembre del 2010, insignita del Premio Nobel per la Pace nel 1991. Nello Yemen  Tawakkul Barman attivista per i diritti civili, anche lei Premio Nobel per la Pace. Nell’ Africa nera  c’è il buco più profondo, sotto l’aspetto umano e sociale le donne sono per lo più schiave. Tuttavia, contro la schiavitù privata e pubblica si battono straordinarie attiviste e leader donne d’Africa che da decenni guidano movimenti di emancipazione per e attraverso le donne, rischiando violenze, prigione e vita. In Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, prima donna eletta presidente in un paese africano, insignita quest’anno del Premio Nobel insieme a Leymah Gbowee, attivista e pacifista.
In America latina,  ci sono Cristina Fernandez de Kirchner, riconfermata presidente dell’Argentina, e in Brasile Dilma Rousseff, con alle spalle una vita di lotte per i diritti.
Insomma, ciò che ribolle nel mondo sul versante della lotta di emancipazione della donna, se da un lato ci esalta dall’altro ci deprime: l’Europa, il faro della democrazia e della parità di genere, ad tratto, e al confronto con i giovani movimenti delle donne del mondo arabo, sembra vecchia e stanca anche sul fronte femminile. Leggi di parità, le quote rosa, sono diventate materia per un pigro ripetersi in convegni e dibattiti parlamentari, sono scadute a mera litania di buoni propositi smentiti nella realtà, ancor più grave per gli effetti recessivi della terribile crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo.
Così stando le cose, la “parità per legge” non basta a rimuovere i dati negativi dell’Italia: disoccupazione femminile tra le più alte, retribuzioni più basse rispetto agli uomini, accesso ai vertici delle aziende e delle istituzioni spesso precluso. Mentre, nel frattempo, sulla stampa e la tv la donna è rappresentata come un animale da circo. Manca, insomma, la reazione dell’anima, la spinta dal basso, l’orgoglio di noi donne a far valere la nostra influenza e rappresentanza. Non è la prima volta che lo diciamo su Minerva, non vorremmo più veder prevalere modelli femminili da “Drive in” anziché da nazione evoluta. Modelli non imposti dai maschi, ma ahimé scelti, praticati e affermati da una parte non proprio marginale della popolazione femminile. Donne al potere comprese.  E’ forse arrivato il momento di guardare dentro noi stesse. Quel “se non ora quando” vale in primo luogo per noi donne, per quel sussulto di dignità e forza sociale e politica che nessun nemico esterno, nessun “uomo cattivo”, tanto per non far nomi Berlusconi, ci può negare. A meno di rinunce e complicità. Ma in tal caso in controtendenza con le donne del resto del mondo, più vergine e più coraggioso di noi.

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