di BARBARA SPINELLI                                    
NEL PRESENTARE il proprio governo, il 16 novembre scorso, il  nuovo premier Mario Monti ha raccontato come i dirigenti dei partiti  abbiano preferito non entrare nell'esecutivo e ha aggiunto  un'osservazione significativa, e perturbante. "Sono arrivato alla  conclusione, nel corso delle consultazioni, che la non presenza di  personalità politiche nel governo agevolerà, piuttosto che ostacolare,  un solido radicamento del governo nel Parlamento e nelle forze  politiche, perché toglierà un motivo di imbarazzo".
La frase  turba perché con un certo candore rivela una verità oculatamente  nascosta. Così come sono congegnati, così come agiscono da decenni, i  partiti non sanno fare quel che prescrive la Costituzione: non sono un  associarsi libero di cittadini che "concorre con metodo democratico a  determinare la politica nazionale"; rappresentano più se stessi che i  cittadini; e nel mezzo della crisi sono motivo d'imbarazzo. Il nuovo  premier ama la retorica minimalista  -  la litote, l'eufemismo  -  ma  quando spiega che le forze politiche non vogliono scottarsi perché  "stanno uscendo da una fase di dialettica molto molto vivace tra loro"  (e non senza asprezza aggiunge: "Spero, che stiano uscendo") snida  crudamente la realtà.
È una realtà che dovrebbe inquietarci, dunque  svegliarci: al momento, i partiti sono incapaci di radicare in  Parlamento e in se stessi l'arte del governare. Sanno conquistare il  potere, più che 
    
esercitarlo con una veduta lunga e soprattutto precisa del mondo. Sono  come reclusi in un cerchio. È ingiusto che Monti deprezzi la nobile  parola dialettica. Ma i partiti se lo meritano.
Questo significa  che l'emergenza democratica in cui viviamo da quando s'è disfatto il  vecchio sistema di partiti, nei primi anni '90, non finisce con  Berlusconi: il berlusconismo continua, essendo qualcosa che è in noi,  nato da storture mai raddrizzate perché tanti vi stanno comodi. Il  berlusconismo irrompe quando la politica invece di ascoltare e incarnare  i bisogni della società accudisce i propri affari, spesso bui. La  dialettica, che dovrebbe essere ricerca dell'idea meno imprecisa, per  forza degenera. È a quel punto che le lobby più potenti, constatando lo  svanire di mediatori tra popolo e Stato, si mettono a governare  direttamente, accentuando lo sradicamento evocato da Monti.
Questa  volta, a differenza di quanto accadde nel '94, entrano in scena tecnici  di grande perizia, e l'Età dei Torbidi con ministri inetti, eversivi,  premiati perché asserviti al capo, è superata. Ma non tutto di quell'età  è superato, e in particolare non il vizio maggiore: il conflitto  d'interessi. Un vizio banalizzato, quando a governare non sono solo  accademici e civil servants europei come Monti, ma banchieri che sino al  giorno prima hanno protetto non la cosa pubblica bensì i profitti di  aziende, banche. È il caso di Corrado Passera, che appena nominato ha  lasciato Banca Intesa ma guida dicasteri e deleghe (sviluppo,  infrastrutture, trasporti, telecomunicazioni) legati rischiosamente ad  attività di ieri. Sarà ardua la neutralità, quando si tratterà di  favorire o no i treni degli amici Montezemolo e Della Valle, di favorire  o no quell'Alitalia che lui stesso (con i sindacati) volle italiana,  nel 2008, assecondando l'insania di Berlusconi e affossando l'accordo di  Prodi e Padoa-Schioppa con Air France: l'italianità costò ai  contribuenti 3-4 miliardi di euro, e molti disoccupati in più. Passera  assicura: "I fatti dimostreranno" che conflitto d'interessi non c'è.  Vedremo. Il male che Monti denunciò su La Stampa il 4-5-07 (il "potere  occulto delle banche", la "confusione tra politica e affari") e tanto  irritò Passera, per ora resta.
Alcuni dicono che la democrazia è  sospesa, e qualcosa di vero c'è perché la Repubblica italiana non nacque  come Repubblica di ottimati. Ma il grido di sdegno suona falso, e non  solo perché la Costituzione non prevede l'elezione di un premier, caduto  il quale si torna al voto. È falso perché preserva, occultandolo, uno  dei nostri più grandi difetti: l'inattitudine a esplorare i propri  storici fallimenti.
Se la democrazia viene affidata ai tecnici e  alla loro neutralità ideologica, è perché politica e partiti hanno  demandato responsabilità che erano loro, specie in tempi di crisi.  Perché non hanno raccontato ai cittadini il mondo che muta, lo Stato  nazione che ovunque vanta sovranità finte, l'Europa che sola ci permette  di ritrovare sovranità. Perché non dicono che esiste ormai una res  publica europea, con sue leggi, e che a essa urge lavorare, dandole un  governo federale, un Parlamento più forte, una Banca Centrale vera. Non  domani: oggi.
La situazione italiana ha una struttura tragica,  che toccò l'acme quando fu scoperchiata Tangentopoli ma che è più  antica. Ogni tragedia svela infatti una colpa originaria, per la quale  son mancate espiazioni e che quindi tende a riprodursi, sempre più  grave: non a caso non è mai un eroe singolo a macchiarsi di colpe ma un  lignaggio (gli Atridi, per esempio). La colpa scardina la pòlis, semina  flagelli che travolgono legalità e morale pubblica. Alla colpa segue la  nemesi: tutta la pòlis la paga.
In Italia la scelleratezza comincia  presto, dopo la Liberazione. Da allora siamo impigliati nel  cortocircuito colpa-nemesi, senza produrre la catarsi: il momento della  purificazione in cui  -  nelle Supplici di Eschilo  -  s'alza Pelasgo,  capo di Argo, e dice: "Occorre un pensiero profondo che porti salvezza.  Come un palombaro devo scendere giù nell'abisso, scrutando il fondo con  occhio lucido e sobrio così che questa vicenda non rovini la città e per  noi stessi si concluda felicemente". Lo sguardo del palombaro è la  rivoluzione della decenza e della responsabilità che tocca ai partiti, e  l'avvento di Monti mostra che l'anagrafe non c'entra. Sylos Labini che  nel '94 vide i pericoli non era un ragazzo. Scrive Davide Susanetti, nel  suo bel libro sulla tragedia greca, che il tuffo di Pelasgo implica una  più netta visione dei diritti della realtà: "Per mutare non bisogna  commuoversi, ma spostarsi fuori dall'incantesimo funesto del cerchio"  che ci ingabbia (Catastrofi politiche, Carocci 2011).
Monti non è  ancora la guarigione, visto che decontaminare spetta ai politici. Per  ora, essi vogliono prendere voti come ieri: vendendo illusioni. Ma Monti  è un possibile ponte tra nemesi e catarsi. Già il cambiamento di  linguaggio conforta: sempre le catarsi cominciano medicando le parole.  L'ironia del premier sull'espressione staccare la spina è stata un  soffio di aria fresca nel tanfo che respiriamo. Altre parole purtroppo  restano. Quando Passera dice che "sì, assolutamente" usciremo dalla  crisi, usa il più fallace degli avverbi. Anche la parola blindare  andrebbe bandita: nasce dal linguaggio militare tedesco (lo scopo è  render l'avversario cieco, blind). Non è una bella dialettica.
Monti  è l'occasione, il kairòs che se non cogliamo c'inabissa. Per i partiti,  è l'occasione di mutare modi di pensare, rappresentare, in Italia e  soprattutto in Europa. Di ricominciare la "lunga corsa" intrapresa dopo  il '45. Di darsi un progetto, non più sostituito dall'Annuncio o  l'Evento: quell'Evento, dice Giuseppe De Rita, "che scava la fossa in  cui cadrà il giorno dopo".
Non c'è un solo partito che abbia idee  sull'Europa da completare. Non ce n'è uno che dica il vero su clima,  demografia, pensioni, disuguaglianza, crisi che riorganizza il mondo.  Diciamo commissariamento, come se poteri europei fatali ci comandassero.  In realtà siamo prede di forze lontane perché l'Europa politica non  c'è. Monti denunciò a giugno l'eccessiva deferenza fra Stati  dell'Unione. Speriamo non sia troppo deferente con Berlino. Che glielo  ricordi: le austerità punitive imposte prima della solidarietà  sovranazionale sono come le Riparazioni sfociate dopo il 14-18 nella  fine della democrazia di Weimar.
Le patologie italiane  permangono, nonostante i molti onest'uomini al governo. Il fatto che il  partito più favorevole a Monti, l'Udc, sia invischiato nelle tangenti  Enav-Finmeccanica, e si torni a parlare di "tritacarne mediatico", è  nefasto. Il pensiero profondo che salva lo si acquisisce solo se si  scende giù nell'abisso, scrutando il fondo. Scrutarlo con l'aiuto di  un'informazione indipendente aiuterà chi pensa che non basti un Dio, per  risollevarci e rimettere nei cardini il mondo.