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giovedì 24 ottobre 2013
Le vostre armi ? Sono in quel libretto che i vostri padri chiamarono Costituzione.

Riforma costituzionale, voce ai cittadini
la Repubblica 23 ottobre 2013 - Stefano Rodotà
So bene quanto sia difficile, oggi in Italia, una discussione ispirata a criteri di ragione e rispetto. È quel che sta accadendo per il tema della riforma della Costituzione. Ma questo non deve indurre a ritrarsi da una discussione che trova talora toni sgradevoli. Impone, invece, di fare ogni sforzo perché una questione davvero fondamentale possa essere affrontata in modo rispettoso dei dati di realtà e delle diverse posizioni in campo.
Quel che si sta discutendo è l’assetto futuro della Repubblica, l’equilibrio tra i poteri, lo spazio stesso della politica, dunque il rapporto tra istituzioni e società delineato dalla Costituzione, il patto al quale sono consegnate le ragioni del nostro stare insieme. Tuttavia, prima di affrontare questioni così impegnative, è necessario ristabilire alcune minime verità. Nell’affannosa ricerca di argomenti a difesa della strada verso la revisione costituzionale scelta da governo e maggioranza, infatti, si sta operando un vero e proprio stravolgimento della posizione di alcuni critici di questa scelta. Premono le ragioni della propaganda e così si alzano i toni, con una mossa rivelatrice dell’intima debolezza delle proprie ragioni. Spiace che in questa operazione si sia fatto coinvolgere lo stesso presidente del Consiglio, che non perde occasione per additare i critici come quelli che vogliono rendere impossibile la riduzione del numero dei parlamentari, l’uscita dal bicameralismo paritario, la riscrittura dello sciagurato titolo V della Costituzione sui rapporti tra Stato e Regioni.
Ripeto: questa è una assoluta distorsione della realtà. Fin dall’inizio di questa vicenda, di fronte al “cronoprogramma” del governo era stato indicato un cammino diverso, che sottolineava proprio la possibilità di una rapida approvazione di riforme per le quali esisteva già un vasto consenso sociale, appunto quelle ricordate prima. Se governo e Parlamento avessero subito seguito questa indicazione, è ragionevole ritenere che saremmo già a buon punto, vicini ad una dignitosa riscrittura di norme della Costituzione concordemente ritenute bisognose di modifiche. Come si sa, è stata scelta una strada diversa, tortuosa e pericolosa, con variegate investiture di gruppi di “saggi” e con l’abbandono della procedura di revisione indicata dall’articolo 138 della Costituzione. I tempi si sono allungati e i contrasti si sono fatti più acuti.
Questo non è un dettaglio, come vorrebbero farlo apparire quelli che, con sufficienza, invitano a guardare al merito delle proposte e a non impigliarsi in questioni meramente procedurali. Quando si tratta di garanzie, la regola sulla procedura è tutto, dà la certezza che un obiettivo così impegnativo, come la revisione costituzionale, non venga piegato a esigenze strumentali, a logiche congiunturali. È proprio quello che sta avvenendo, sì che non è arbitrario ritenere che la strada scelta nasconda un altro proposito – quello di agganciare a riforme condivise anche una forzatura, riguardante il cambiamento della forma di governo.
È caricaturale, e improprio, descrivere la discussione attuale come un conflitto tra conservatori e innovatori. Si stanno confrontando, e non da oggi, due linee di riforma. Di fronte a quella scelta da governo e maggioranza non v’è un arroccamento cieco, un pregiudiziale no a qualsiasi cambiamento. Vi è una proposta diversa, che può essere così riassunta: rispetto della procedura dell’articolo 138, avvio immediato delle tre specifiche riforme già citate, mantenimento della forma di governo parlamentare rivista negli aspetti che appaiono più deboli.
Torniamo, allora, alle questioni più generali. Da alcuni anni si è istituita una relazione perversa tra
emergenza economica, impotenza politica e cambiamenti della Costituzione. Con una accelerazione violenta, e senza una vera discussione pubblica, nel 2012 è stata approvata una modifica dell’articolo 81 della Costituzione, prevedendo il pareggio di bilancio. Allora si chiese, invano, ai parlamentari di non approvare quella riforma con la maggioranza dei due terzi, per consentire di promuovere eventualmente un referendum su un cambiamento tanto profondo. La ragione era chiara. Si parla molto di coinvolgimento dei cittadini e si dimentica che quella maggioranza era stata prevista quando la legge elettorale era proporzionale, dando così garanzie in Parlamento che sono state fortemente ridotte dal passaggio al maggioritario. Oggi la stessa richiesta viene rivolta ai senatori che si accingono a votare in seconda lettura la modifica dell’articolo 138. Vi sarà tra loro un gruppo dotato di sensibilità istituzionale che accoglierà questo invito, affidando anche ai cittadini il giudizio sulla sospensione di una procedura di garanzia che altri, in futuro, potrebbero utilizzare invocando qualche diversa urgenza o emergenza? Non basta, infatti, aver previsto un referendum alla fine dell’iter della riforma finale, se rimane un dubbio sulla correttezza del modo in cui quel cammino è cominciato. La discussione sul merito delle proposte assume significato diverso se queste non alterano l’impianto costituzionale e sono già sorrette da consenso sociale, come quelle più volte citate, o se invece implicano un mutamento della forma di governo. Per quest’ultima, nella relazione del Comitato dei “saggi” sono state fatte due operazioni. In via generale, sono state legittimate tre ipotesi tra loro ben diverse. E poi si è indicata tra queste una sorta di mediazione, definita come “forma di governo parlamentare del Primo Ministro”, che in realtà introduce un presidenzialismo mascherato, costituzionalizzando l’indicazione sulla scheda del candidato premier e ridimensionando così il potere di nomina da parte del presidente della Repubblica e quello del Parlamento di dare la fiducia. Ha detto bene Gaetano Azzariti sottolineando che così si realizza «l’indebolimento della forma di governo parlamentare e il definitivo approdo in Costituzione delle pulsioni presidenziali». Una politica debole cerca così una scorciatoia efficientista attraverso un accentramento/ personalizzazione dei poteri e sembra rassegnarsi ad una crisi dei partiti che, incapaci di presentarsi come effettivi rappresentanti dei cittadini, non sono più in grado di cogliere la pienezza del ruolo dell’istituzione in cui sono presenti, il Parlamento, alterando così gli equilibri costituzionali.
Ma l’assunzione della logica dell’emergenza e della pura efficienza svuota lo spazio costituzionale di tutto ciò che si presenta come “incompatibile” con essa. I diritti fondamentali sono respinti sullo sfondo e si perde il loro più profondo significato, in cui si esprime non solo il riconoscimento della persona nella sua integralità, ma un limite alla discrezionalità politica che, soprattutto in tempi di risorse scarse, deve costruire le sue priorità partendo proprio dalla garanzia di quei diritti. Sbagliano quelli che, con una mossa infastidita, dichiarano l’irrilevanza della discussione sulle riforme di fronte ai bisogni reali delle persone. Questi vengono sacrificati proprio perché la politica ha perduto la sua dimensione costituzionale, e fa venir meno garanzie in nome di un’efficienza tutta da dimostrare, come accade per il lavoro. Se non si coglie questo nesso, rischiano d’essere vane anche le iniziative su questioni specifiche, e i lineamenti della Repubblica verranno stravolti assai più di quanto possa accadere con un mutamento della forma di governo.

Quel che si sta discutendo è l’assetto futuro della Repubblica, l’equilibrio tra i poteri, lo spazio stesso della politica, dunque il rapporto tra istituzioni e società delineato dalla Costituzione, il patto al quale sono consegnate le ragioni del nostro stare insieme. Tuttavia, prima di affrontare questioni così impegnative, è necessario ristabilire alcune minime verità. Nell’affannosa ricerca di argomenti a difesa della strada verso la revisione costituzionale scelta da governo e maggioranza, infatti, si sta operando un vero e proprio stravolgimento della posizione di alcuni critici di questa scelta. Premono le ragioni della propaganda e così si alzano i toni, con una mossa rivelatrice dell’intima debolezza delle proprie ragioni. Spiace che in questa operazione si sia fatto coinvolgere lo stesso presidente del Consiglio, che non perde occasione per additare i critici come quelli che vogliono rendere impossibile la riduzione del numero dei parlamentari, l’uscita dal bicameralismo paritario, la riscrittura dello sciagurato titolo V della Costituzione sui rapporti tra Stato e Regioni.
Ripeto: questa è una assoluta distorsione della realtà. Fin dall’inizio di questa vicenda, di fronte al “cronoprogramma” del governo era stato indicato un cammino diverso, che sottolineava proprio la possibilità di una rapida approvazione di riforme per le quali esisteva già un vasto consenso sociale, appunto quelle ricordate prima. Se governo e Parlamento avessero subito seguito questa indicazione, è ragionevole ritenere che saremmo già a buon punto, vicini ad una dignitosa riscrittura di norme della Costituzione concordemente ritenute bisognose di modifiche. Come si sa, è stata scelta una strada diversa, tortuosa e pericolosa, con variegate investiture di gruppi di “saggi” e con l’abbandono della procedura di revisione indicata dall’articolo 138 della Costituzione. I tempi si sono allungati e i contrasti si sono fatti più acuti.
Questo non è un dettaglio, come vorrebbero farlo apparire quelli che, con sufficienza, invitano a guardare al merito delle proposte e a non impigliarsi in questioni meramente procedurali. Quando si tratta di garanzie, la regola sulla procedura è tutto, dà la certezza che un obiettivo così impegnativo, come la revisione costituzionale, non venga piegato a esigenze strumentali, a logiche congiunturali. È proprio quello che sta avvenendo, sì che non è arbitrario ritenere che la strada scelta nasconda un altro proposito – quello di agganciare a riforme condivise anche una forzatura, riguardante il cambiamento della forma di governo.
È caricaturale, e improprio, descrivere la discussione attuale come un conflitto tra conservatori e innovatori. Si stanno confrontando, e non da oggi, due linee di riforma. Di fronte a quella scelta da governo e maggioranza non v’è un arroccamento cieco, un pregiudiziale no a qualsiasi cambiamento. Vi è una proposta diversa, che può essere così riassunta: rispetto della procedura dell’articolo 138, avvio immediato delle tre specifiche riforme già citate, mantenimento della forma di governo parlamentare rivista negli aspetti che appaiono più deboli.
Torniamo, allora, alle questioni più generali. Da alcuni anni si è istituita una relazione perversa tra
emergenza economica, impotenza politica e cambiamenti della Costituzione. Con una accelerazione violenta, e senza una vera discussione pubblica, nel 2012 è stata approvata una modifica dell’articolo 81 della Costituzione, prevedendo il pareggio di bilancio. Allora si chiese, invano, ai parlamentari di non approvare quella riforma con la maggioranza dei due terzi, per consentire di promuovere eventualmente un referendum su un cambiamento tanto profondo. La ragione era chiara. Si parla molto di coinvolgimento dei cittadini e si dimentica che quella maggioranza era stata prevista quando la legge elettorale era proporzionale, dando così garanzie in Parlamento che sono state fortemente ridotte dal passaggio al maggioritario. Oggi la stessa richiesta viene rivolta ai senatori che si accingono a votare in seconda lettura la modifica dell’articolo 138. Vi sarà tra loro un gruppo dotato di sensibilità istituzionale che accoglierà questo invito, affidando anche ai cittadini il giudizio sulla sospensione di una procedura di garanzia che altri, in futuro, potrebbero utilizzare invocando qualche diversa urgenza o emergenza? Non basta, infatti, aver previsto un referendum alla fine dell’iter della riforma finale, se rimane un dubbio sulla correttezza del modo in cui quel cammino è cominciato. La discussione sul merito delle proposte assume significato diverso se queste non alterano l’impianto costituzionale e sono già sorrette da consenso sociale, come quelle più volte citate, o se invece implicano un mutamento della forma di governo. Per quest’ultima, nella relazione del Comitato dei “saggi” sono state fatte due operazioni. In via generale, sono state legittimate tre ipotesi tra loro ben diverse. E poi si è indicata tra queste una sorta di mediazione, definita come “forma di governo parlamentare del Primo Ministro”, che in realtà introduce un presidenzialismo mascherato, costituzionalizzando l’indicazione sulla scheda del candidato premier e ridimensionando così il potere di nomina da parte del presidente della Repubblica e quello del Parlamento di dare la fiducia. Ha detto bene Gaetano Azzariti sottolineando che così si realizza «l’indebolimento della forma di governo parlamentare e il definitivo approdo in Costituzione delle pulsioni presidenziali». Una politica debole cerca così una scorciatoia efficientista attraverso un accentramento/ personalizzazione dei poteri e sembra rassegnarsi ad una crisi dei partiti che, incapaci di presentarsi come effettivi rappresentanti dei cittadini, non sono più in grado di cogliere la pienezza del ruolo dell’istituzione in cui sono presenti, il Parlamento, alterando così gli equilibri costituzionali.
Ma l’assunzione della logica dell’emergenza e della pura efficienza svuota lo spazio costituzionale di tutto ciò che si presenta come “incompatibile” con essa. I diritti fondamentali sono respinti sullo sfondo e si perde il loro più profondo significato, in cui si esprime non solo il riconoscimento della persona nella sua integralità, ma un limite alla discrezionalità politica che, soprattutto in tempi di risorse scarse, deve costruire le sue priorità partendo proprio dalla garanzia di quei diritti. Sbagliano quelli che, con una mossa infastidita, dichiarano l’irrilevanza della discussione sulle riforme di fronte ai bisogni reali delle persone. Questi vengono sacrificati proprio perché la politica ha perduto la sua dimensione costituzionale, e fa venir meno garanzie in nome di un’efficienza tutta da dimostrare, come accade per il lavoro. Se non si coglie questo nesso, rischiano d’essere vane anche le iniziative su questioni specifiche, e i lineamenti della Repubblica verranno stravolti assai più di quanto possa accadere con un mutamento della forma di governo.
Presentazione del libro Uscire dal Passato per entrare nel Futuro!
giovedì 24 ottobre 2013
Comunicato Stampa
La giornalista Teresa Campagna intervisterà l'autrice |
Via Notarbartolo n°9/F, Palermo
|
https://www.facebook.com/events/1452325761659740/?ref=22
martedì 22 ottobre 2013
Recensione al LIBRO DI NELLA TOSCANO: USCIRE DAL PASSATO PER ENTRARE NEL FUTURO a cura di Sergio Casagrande!
22 ottobre 2013 alle ore 18.15
Ho
appena terminato la lettura del libro di Nella Toscano. Amo leggere
saggi e romanzi, ma collocare il testo di questa bravissima scrittrice
tra questi, mi è diventato difficile. Perché se del primo ha la
caratteristica della denuncia dei compromessi e dei comportamenti
mafiosi che hanno ruotato e si sono avviluppati attorno al suo percorso
lavorativo e politico, che vanno dagli anni settanta ai nostri giorni (
un contributo, prima ancora di un esempio caparbio, e un auspicio che
l'etica e una vera giustizia lascino il passo alla corruzione
dilagante), del secondo ha gli ideali, la passione e la tensione morale,
il fascino della lotta, delle sconfitte, delle battaglie vinte, delle
inevitabili delusioni di chi da fanciulla ha ricevuto in dono
insegnamenti ed esempi di probità dai genitori. La citazione, scolpita
sulla tomba di Pippo Fava: “ Se non si è disposti a lottare a che serve
essere vivi? ” sembra essere stato il suo credo, e nonostante gli
infamanti tradimenti e i comportamenti di amici e compagni da sepolcri
imbiancati, Nella non sarà mai doma, e seppur con molti dubbi e
perplessità non si tirerà mai indietro. Nella si sofferma sulla nostra
bella Costituzione, che consorterie politico- affaristiche, nonostante
gli italiani avessero già bocciato le manomissioni dell'assetto
istituzionale con il referendum del 2006, in nome di una presunta
governabilità, cercano tutt'ora di stravolgere facendoci credere che il
presidenzialismo sia la panacea di tutti i mali. Non ci vuole molto per
capire che questi sono nuovi espedienti per svincolarsi dal patto
costituzionale trasformando la nostra povera democrazia in un regno
oligarchico per mantenere intatti i privilegi del Gattopardo. E lo
spettro del grande fratello di orwelliana memoria, da evitare con tutte
le forze. La scrittrice non attacca nessuno in particolare, lasciando
giustamente intendere che è il sistema, le connivenze, le
raccomandazioni, l'ipocrisia che hanno ormai minato le fondamenta del
nostro Paese. Ma ancora una volta l'ottimismo degli idealisti la invade,
e cita alla fine del suo libro Danilo Dolci: “ Sapere inventare con gli
altri, in modo organico, il proprio futuro, è una delle maggiori
riserve di energia rivoluzionaria di cui il mondo possa disporre, uno
dei modi essenziali per liberare nuove possibilità...” E conclude: NE
SAREMO CAPACI? UN LIBRO SCORREVOLE E SCRITTO IN MODO SEMPLICE CHE
CONSIGLIO AGLI AMICI. PERCORRERANNO INSIEME A NELLA TOSCANO LE BATTAGLIE
PER L'EMANCIPAZIONE DELLE DONNE E GLI ANNI BUI DELLA SICILIA E DEL
NOSTRO PAESE DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI. PER ACQUISTO inviare mail a:
edizionigemina@alice.it oppure con IBS
di: Sergio Casagrande

di: Sergio Casagrande

lunedì 14 ottobre 2013
“Uscire dal passato per entrare nel futuro” di Nella Toscano a cura di Marzia Carocci
“Uscire dal passato per entrare nel futuro” di Nella Toscano a cura di Marzia Carocci

ott 11, 2013
Il libero arbitrio o facoltà di scelta, spesso sono utopie alle quali volenti o nolenti, per cause maggiori, volute spesso da sistemi non democratici, ci obbligano a soprassedere, lasciandoci in balia di rabbie e riflessioni su quanto il potere di alcuni, delimiti le nostre decisioni.

“Uscire dal passato per entrare nel futuro“, il libro di Nella Toscano è improntato sulla storia di Allen, una ragazza che per studi Universitari, s’instaura a Palermo in un periodo storico/politico/culturale intorno agli anni settanta dove vige un sistema che si ritorce presto contro di lei; attiva e combattiva studentessa di architettura non appartenente a “nicchie” mafiose, borghesi o massoniche, viene immediatamente esclusa dalla cerchia e quindi decurtata di una carriera che non le sarà permessa.
Forte e determinata, per niente piegata, decide di entrare in politica per avere la possibilità di cambiare alcune situazioni soprattutto legate ai giovani e al loro mondo, al lavoro e al rispetto della Costituzione.
Allen, in seguito, negli anni novanta, deciderà di militare nel DS a fianco di Walter Veltroni appena eletto; verrà nominata come dirigente nel gruppo provinciale, si darà da fare in battaglie e lotte politiche nelle quali crede fermamente, fino a quando si accorgerà che anche lì, il suo spazio sarà delimitato e quindi impossibilitata di esprimesi come avrebbe voluto.

La carriera politica si ritorcerà contro la sua professione di consulente giudiziario e si renderà presto conto, quando chiederà i propri diritti a chi dovrebbe aiutarla a difenderli, che niente è legalità, giustizia, onestà.
Un libro che ci apre in quella triste realtà dove l’impegno e la volontà spesso sono delimitati da decisioni di un potere che soffoca ogni possibilità di rinnovamento, vuoi per interessi propri, vuoi per favoritismi o per ordini superiori che muovono fili a chi deve lasciare il tutto così com’è!
Allen, forte, ricca di ideali, donna determinata e proiettata verso quei diritti fondamentali dell’essere umano, piegata, allontanata, esclusa dalla sopraffazione di un pensiero e di un sistema che sfugge dalla democrazia e alla voglia di vivere in un posto migliore.
Uno stralcio sul periodo storico/politico Siciliano/Nazionale che va dagli anni settanta al primo decennio del duemila.
Nella Toscano, con questo suo libro, batte un pugno sul tavolo, un pugno di monito, di esortazione, di pulizia etico/sociale e politica di cui tutti vorremmo sentirne il colpo! Un libro che ha voce, un megafono aperto a chi ha dimenticato cosa sia la libertà di pensiero e di azione!
Written by Marzia Carocci
domenica 13 ottobre 2013
venerdì 11 ottobre 2013
La sinistra che vogliamo: Una pagina Bianca da scrivere!
Difendere la Costituzione è divenuta una priorità delle
priorità in questo Paese e pretenderne l’applicazione una necessità non
più rinviabile.
Non so quanti ne sono consapevoli e quanti hanno ancora
voglia di combattere questa battaglia vitale per la democrazia, per i diritti
di tutti e soprattutto dei più deboli.
Domani si svolgerà a Roma la manifestazione indetta da
Rodotà e Ladini a cui ha aderito
la parte migliore del Paese, che vive questo momento con dolore e che non vuole
rassegnarsi a questa politica fatta di false promesse ed intrisa di una
ipocrisia insopportabile .
E’ chiaro a tutti, o meglio dovrebbe essere chiaro a
tutti che non si può continuare
così! Non è possibile continuare a scivolare giù senza fare niente per
arrestare questa frana che rischia di travolgerci tutti.
Quello che abbiamo visto verificarsi in questi giorni ci
deve convincere della necessità di voltare pagina.
Non è possibile in un Paese civile assistere inerti al
naufragio di centinaia e centinaia di essere umani, uomini, donne e bambini, in
fuga dai loro Paesi per la fame e le guerre, con la speranza di sfuggire ad un destino crudele.
Non è possibile continuare a sperare in un governo di larghe intese con
ministri che non hanno dimostrato di essere in grado di risolvere minimamente i
nostri problemi, che si aggravano
sempre di più, sia in campo economico, che in quello sociale.
Non è possibile continuare a vederci strappare i nostri
diritti senza reagire.
Non è possibile assistere senza cercare di fermare la
vendita dei beni dello stato, allo svuotamento di quello che era uno dei Paesi più industrializzati del mondo.
Non è possibile assistere al disastro economico senza
interrogarci su questa Europa, su questa finanza, su questo capitalismo e,
soprattutto, sulla nostra sovranità monetaria perduta.
Non è possibile vedere accapigliarsi ogni giorno questi
politicanti intorno a problemi che niente hanno a che fare con la soluzione dei
problemi veri delle persone che non ce la fanno più a vivere, con le imprese
che falliscono, i negozi che chiudono, la disoccupazione che aumenta.
Ci siamo ridotti a dover dibattere ogni santo giorno, sia a
livello nazionale, che regionale – vedi la Sicilia dove sembra tutto ridotto ad
una farsa- su questioni di cui ci sfugge il senso e che comunque riguardano
solo l’esercizio puro del potere a prescindere ed alle spartizioni di torte
ancora sul piatto che nulla hanno
a che vedere con il bene comune.
Non è concepibile che chi non ci sta continua ad assistere a questo
scempio rimanendo alla finestra a guardare.
Qui, bisogna capire, che o si rifà la sinistra per cercare
di salvare il Paese o si muore!
Purtroppo
ancora questa consapevolezza stenta a manifestarsi, bisogna prenderne
atto, anche se si stenta a capire il perché di tutta questa inerzia.
Bisogna assolutamente prendere altresì atto che è finito il tempo dei
partitini, che sono giunti tutti al capolinea con percentuali da prefisso
telefonico: inutile cercare di superare tutto con la vecchia e logora formula
di apertura agli altri.
Bisogna avere chiaro
che si
potranno anche aprire, ma gli altri non si uniranno a loro perché, come ha giustamente fatto notare un compagno
di sel, prevarrebbe sempre la diffidenza.
Bisogna invece cominciare a scrivere su una pagina
bianca la sinistra che
vogliamo, che dovrà
necessariamente essere altro rispetto a quello che abbiamo visto in questi
ultimi anni.
Quella rappresentata dai
partitini non lo è e non potrà mai svolgere la sua missione, perché non viene riconosciuta da
tutti e perché non ha mai saputo dimostrare di sapere assolvere il suo ruolo.
Bisogna prendere atto che non è più tempo di riciclarsi e tanto meno di tentare operazioni di trasformismo.
E’ invece necessario ed urgente cambiare: sono convinta che si può “alla condizione che si riesca a capire questa fase della storia, difficile, dura, ma favorevole, e che si facciano le scelte giuste. Perché è finito il tempo nel quale la Sinistra si può permettere di baloccarsi, di vivacchiare, di traccheggiare, di pazzeggiare”.
E’ invece necessario ed urgente cambiare: sono convinta che si può “alla condizione che si riesca a capire questa fase della storia, difficile, dura, ma favorevole, e che si facciano le scelte giuste. Perché è finito il tempo nel quale la Sinistra si può permettere di baloccarsi, di vivacchiare, di traccheggiare, di pazzeggiare”.
Vogliamo ripartire dal 12 ottobre?
Palermo 11.10.2013
Nella Toscano
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