Ci sono donne e donne. Quelle che siedono nel Palazzi della politica e quelle che stanno fuori. Il primo governo Renzi ha otto ministre e otto ministri ma nessun ministero per politiche di genere e pari opportunità,
come era stato richiesto fortemente dalle donne che stanno fuori dai
Palazzi, quelle dei movimenti e delle associazioni che con le
discriminazioni di genere fanno i conti tutti i giorni.
Alle donne in carica nell’Esecutivo, il neo-presidente del consiglio Matteo Renzi ha offerto le pari opportunità delle ‘quote rosa‘ ma che cosa farà il suo governo per le donne fuori dal Palazzo? In una situazione drammatica per le donne, particolarmente colpite dalla crisi economica e culturale, non è apprezzabile la scelta di prescindere da un ministero dedicato alle politiche di genere con finanziamenti da investire in interventi politici efficaci. La violenza sessista è alimentata dalle discriminazioni.
Nel 2013 il Gender Gap Report ha collocato l’Italia al 71° posto l’Italia: penultima in Europa per le condizioni lavorative delle donne, davanti solo a Malta; le dimissioni in bianco sono una piaga che penalizza particolarmente le donne e non garantisce più un lavoro a quelle che scelgono la maternità; le italiane grazie ai tagli alla spesa pubblica stanno assumendo sulle loro spalle il peso del welfare con il lavoro di cura di anziani, malati e bambini senza ricevere alcun riconoscimento; la pratica, mai combattuta, dell’obiezione di coscienza alla 194 e la pessima legge in tema di fecondazione assistita, sono animate da ideologie oscurantiste che vogliono controllare il corpo femminile, negando il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne. La violenza contro le donne si alimenta di povertà, emarginazione, mancata partecipazione alla vita economica, culturale e politica.
Le donne che lavorano nei centri antiviolenza sono testimoni, ogni giorno, della difficoltà dei percorsi di uscita dalla violenza delle sopravvissute ai maltrattamenti. Come separarsi da un coniuge violento se è la loro unica fonte di sostentamento? Come riuscire a investire energie nel lavoro, se alle donne continua ad essere attribuito il ruolo del lavoro di cura, e i tagli al welfare hanno spazzato via i servizi per l’infanzia? Come difendere il posto il lavoro se si firma un contratto di precariato e si è vittima di molestie o ricatti sessuali? Come fare interventi nelle scuole con i giovani se ci sono tagli ai finanziamenti per la scuola pubblica? Come chiedere giustizia se chi opera nelle istituzioni non riconosce il fenomeno?
Per contrastare la violenza contro le donne servono politiche che migliorino la loro condizione e non leggi securitarie e repressive, tanto meno quote rosa che in un contesto come quello italiano sono un privilegio riservato peraltro solo ad una minoranza. E a proposito di “quote”, in che direzione stia andando la società italiana la possiamo verificare con le recenti elezioni regionali che in Sardegna hanno portato in Consiglio, quattro donne su sessanta eletti.
Possiamo ritenerci soddisfatte delle otto ministre in quota rosa, in un Paese che nega la piena cittadinanza alle donne che stanno fuori dai Palazzi della politica?
Alle donne in carica nell’Esecutivo, il neo-presidente del consiglio Matteo Renzi ha offerto le pari opportunità delle ‘quote rosa‘ ma che cosa farà il suo governo per le donne fuori dal Palazzo? In una situazione drammatica per le donne, particolarmente colpite dalla crisi economica e culturale, non è apprezzabile la scelta di prescindere da un ministero dedicato alle politiche di genere con finanziamenti da investire in interventi politici efficaci. La violenza sessista è alimentata dalle discriminazioni.
Nel 2013 il Gender Gap Report ha collocato l’Italia al 71° posto l’Italia: penultima in Europa per le condizioni lavorative delle donne, davanti solo a Malta; le dimissioni in bianco sono una piaga che penalizza particolarmente le donne e non garantisce più un lavoro a quelle che scelgono la maternità; le italiane grazie ai tagli alla spesa pubblica stanno assumendo sulle loro spalle il peso del welfare con il lavoro di cura di anziani, malati e bambini senza ricevere alcun riconoscimento; la pratica, mai combattuta, dell’obiezione di coscienza alla 194 e la pessima legge in tema di fecondazione assistita, sono animate da ideologie oscurantiste che vogliono controllare il corpo femminile, negando il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne. La violenza contro le donne si alimenta di povertà, emarginazione, mancata partecipazione alla vita economica, culturale e politica.
Le donne che lavorano nei centri antiviolenza sono testimoni, ogni giorno, della difficoltà dei percorsi di uscita dalla violenza delle sopravvissute ai maltrattamenti. Come separarsi da un coniuge violento se è la loro unica fonte di sostentamento? Come riuscire a investire energie nel lavoro, se alle donne continua ad essere attribuito il ruolo del lavoro di cura, e i tagli al welfare hanno spazzato via i servizi per l’infanzia? Come difendere il posto il lavoro se si firma un contratto di precariato e si è vittima di molestie o ricatti sessuali? Come fare interventi nelle scuole con i giovani se ci sono tagli ai finanziamenti per la scuola pubblica? Come chiedere giustizia se chi opera nelle istituzioni non riconosce il fenomeno?
Per contrastare la violenza contro le donne servono politiche che migliorino la loro condizione e non leggi securitarie e repressive, tanto meno quote rosa che in un contesto come quello italiano sono un privilegio riservato peraltro solo ad una minoranza. E a proposito di “quote”, in che direzione stia andando la società italiana la possiamo verificare con le recenti elezioni regionali che in Sardegna hanno portato in Consiglio, quattro donne su sessanta eletti.
Possiamo ritenerci soddisfatte delle otto ministre in quota rosa, in un Paese che nega la piena cittadinanza alle donne che stanno fuori dai Palazzi della politica?
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