Il Senato
28 aprile 2014 - Nessun Commento »
Nadia Urbinati
Se questa è l’esigenza, l’elezione indiretta (la nomina da parte degli organismi di governo locale o regionale) del Senato della Repubblica va nella direzione contraria. Perchè l’elezione indiretta dei componenti di un organo deliberativo (o che partecipa comunque alle decisioni sulle leggi nazionali) è opaca rispetto all’elezione per suffragio dei cittadini. Al contrario, attribuisce un enorme potere discrezionale ad alcuni grandi elettori (sì eletti per suffragio universale, ma per funzioni e scopi diversi come l’amministrazione di un territorio regionale) che in questo modo acquisterebbero un potere superiore a quello di tutti gli altri cittadini, in violazione al principio di eguaglianza politica. Il metodo dell’elezione indiretta ebbe successo nel XIX secolo come argine alla democrazia e all’incalzante espansione del suffragio diretto e segreto. Liberali come Benjamin Constant lo difesero pensando proprio a come contenere la trasformazione in senso democratico del governo rappresentativo. Tuttavia, l’evoluzione della storia politica occidentale è andata in una direzione contraria; anche perchè è diventato in poco tempo un fatto provato che questo metodo di nomina serviva a generare e proteggere un’oligarchia social-politica, una classe di notabili sensibili. A riprova di ciò potrebbe essere utile ricordare che il Senato degli Stati Uniti fu nella prima fase della storia della federazione americana composto da nominati dagli Stati e diventò un istituto così corrotto e piegato agli interessi non controllabili dei potentati locali da indurre il legislatore a riformarlo instituendo l’elezione diretta dei suoi membri.
La seconda esigenza di riforma è dettata dalla volontà di rendere le istituzioni più funzionali alle esigenze della società. Un argomento che viene usato per perorare la causa di un Senato nominato è infatti la speditezza del lavoro legislativo. Chi difende questa tesi sostiene che per avere un sistema deliberativo democratico non è necessario che tutti i passaggi o i suoi elementi siano deliberativi e democratici. Ciò è senza dubbio vero. Tuttavia questo pluralismo è giustificato in relazione a policies o dominii decisionali amministrativi non a politics o dominii legislativi. Si tratta dunque di evitare di cadere nel funzionalismo a-normativo per cui ogni processo può essere considerato come un’efficace strategia che contribuisce al funzionamento del sistema, e quindi buona in quanto capace di far questo. Se questo è il criterio, allora perchè scegliere la democrazia? Occorre pertanto valutare quando istituti non-deliberativi, debolmente deliberativi, o anche antideliberativi, rafforzano nondimeno il sistema democratico e quando ciò non accade. Ma per fare questa valutazione occorre avere come idea regolativa o norma fondamentale l’accountability democratica, non la funzionalità (tra l’altro presunta più che provata) dei processi. La funzione decisionale ed epistemica o di problem-solving deve essere, in questo caso soprattutto, situata all’interno di criteri generali normativi come l’eguaglianza politica, e il principio di trasparenza e di controllo, condizioni non garantite dall’elezione indiretta di un corpo politico come il Senato della Repubblica.
Se lo scopo è di rendere il sistema delle istituzioni più, non meno, coerente con i principi democratici (la prima parte della Costituzione come nostra guida) allora non si comprende perchè dobbiamo prendere la strada della non elegittibilità dei Senatori, perchè arretrare da un sistema democratico di elezione diretta a uno meno democratico di nomina. Ecco quindi che la questione “perchè ci proponiamo questa riforma” diventa cruciale, un canovaccio interpretativo delle proposte e una guida di selezione delle stesse. Sarebbe dunque il caso di ripensare la proposta di un Senato di nominati da enti territoriali e di non scegliere di restringere il potere del suffragio. Oltretutto se riflettiamo sull’accusa di autoreferenzialità rivolta alla classe politica e che probabilmente induce i cittadini a evadere il loro compito sovrano, allora sembra irragionevole e disfunzionale andare nella direzione di costituzionalizzare la formazione di livelli gerarchici di cittadinanza elettorale. Si dovrebbe prestare attenzione al sentimento profondo che esiste nel paese di sfiducia nelle istituzioni, nei politici, nei partiti e nel sistema, e che si è aggravato con gli anni. Dato il quale sentimento, sembra illogico pensare di allontanare la classe politica dai cittadini ancora di più di quanto giá non lo sia oggi. Questa preoccupazione va ad aggiungersi a quella che è stata messa in luce abbondantemente in questi ultimi mesi sul rischio di sbilanciamento dei poteri a favore dell’esecutivo e della maggioranza parlamentare che un sistema monocamerale comporterebbe, con l’evidente necessità di dover rivedere l’intero sistema dei pesi e contrappesi.
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