A dimostrazione di come in Italia, una volta toccato il fondo, sia sempre possibile mettersi a scavare arrivano le annunciate non dimissioni di Anna Maria Cancellieri. La ministra della Giustizia a poche ore dall’arresto di un noto pregiudicato per tangenti (don Salvatore Ligresti) ha telefonato alla sua compagna. E, dopo essersi scusata per non aver chiamato prima (il minimo, visto che lo storico mazzettaro era sotto inchiesta da mesi per falso in bilancio e aggiotaggio),
ha espresso solidarietà alla donna. Poi, per la gioia degli azionisti
della FonSai rovinati dalle scorribande dell’indagato e della sua
famiglia, le ha ripetuto per due volte che quanto era accaduto non era “giusto”.
Infine ha chiuso e ha detto: “Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di
me, non lo so cosa possa fare, però guarda son veramente dispiaciuta”.
In
qualunque democrazia degna di questo nome una telefonata come questa
sarebbe bastata da sola per spingere qualsiasi governo a dare alla
Cancellieri il ben servito. Qui no. Nel Belpaese arriva
invece la fiducia a prescindere ancor prima che la Guardasigilli
chiarisca dettagliatamente in Parlamento i suoi rapporti con il
pregiudicato.
Vedremo cosa accadrà alle Camere
(poco immaginiamo). Per ora si può solo dire che, pure dopo le numerose
interviste, i fati da spiegare restano ancora molti. Qualche esempio:
don Salvatore era il proprietario della casa dove viveva e vive il
figlio della ministra ed era l’azionista di maggioranza della società
per cui il giovane manager lavorava (ne è uscito con una liquidazione da
3,6 milioni di euro). Tutto questo ha influito sulla
decisione della Guardasigilli di chiamare una persona che non sentiva da
mesi? E ancora: perché la Cancellieri dopo l’inchiesta Mani Pulite che aveva portato in carcere sia Salvatore che suo fratello Antonino (quest’ultimo ha confessato tangenti alla Guardia di Finanza per 150 milioni di lire) ha continuato a frequentarli? Era opportuno e giusto per un funzionario dello Stato?
Non
pensa la ministra che così facendo ha permesso a don Salvatore di
sostenere, in un interrogatorio di pochi mesi fa, di averla sponsorizzata con Silvio Berlusconi in occasione di un passaggio importante della sua carriera prefettizia?
Affermazione che se è vera (ma lei smentisce) racconta come la
Cancellieri avesse dei debiti di gratitudine nei confronti del
pregiudicato siciliano. E che se è falsa conferma invece la grave
imprudenza dimostrata nel coltivare l’amicizia con dei personaggi come i
Ligresti e nel continuare a rivendicarla (“con Antonino abbiamo un
rapporto trentennale”, dice ora).
Di tutto questo però in un paese messo in ginocchio dai tengo famiglia e degli amici degli amici
si discute assai poco. Si sprecano invece gli elogi perché la
Guardasigilli ha di fatto mantenuto la parola data alla compagna di don
Salvatore: un mese dopo la telefonata del “conta su di me” la
Cancellieri parla infatti con l’altro mazzettaro di famiglia (Antonino) e
poi segnala alla direzione delle carceri le cattive condizioni di salute di una delle figlie di don Salvatore, Giulia, detenuta nonostante una fortissima anoressia e per questo poi scarcerata dalla magistratura.
Così oggi, con il sostegno di quasi tutte le larghe intese, la ministra ripete di essere orgogliosa di come si è comportata e spiega di essersi mossa solo per “umanità”,
esattamente come aveva fatto con altri 110 carcerati. A suo dire il
fatto che la procura di Torino abbia ricordato come la giovane Ligresti
sia uscita di prigione senza che sui pm fossero avvenute pressioni di
sorta, conferma la correttezza del suo operato.
L’autodifesa, va detto chiaro, è però solo una squallida furbata.
È un inganno che finisce per infangare anche le parti buone della
carriera – prima come prefetto e poi come governante – di Anna Maria
Cancellieri. Ma c’è poco da stupirsi. Per preoccuparsi della propria reputazione è necessario averne una. Ma ormai la Guardasigilli dei Ligresti una reputazione non ce l’ha più.
In
questa storia, infatti, il punto non sono i poteri del ministro che,
come responsabile delle carceri, segnala ai vertici del Dap
(Dipartimento amministrazione penitenziaria) i casi di detenuti a
rischio di cui viene a conoscenza. In discussione ci sono invece i suoi
doveri.
Un esponente di
governo non telefona alla compagna di un pregiudicato appena riarrestato
e men che meno si mette a disposizione. Se lo fa, immaginando
oltretutto che la linea sia sotto controllo, accetta il rischio di infangare se stesso e l’istituzione che rappresenta.
Un prefetto come la Cancellieri può benissimo essere amica e
frequentare, senza saperlo, dei corruttori, ma quando scattano le
manette e poi arrivano le condanne interrompe i rapporti. Oppure cambia
mestiere.
Se non lo fa spalanca la porta a qualsiasi sospetto. Persino a quello infamante di essere in qualche modo ricattabile:
o dai Ligresti o dal blocco di potere da sempre presente alle loro
spalle. Se non tronca subito ogni relazione permette ai cittadini di
pensare che anzi è stata messa lì proprio per quello. Seduta a Roma su
una poltrona chiave, la Giustizia, che ora non per caso nessuno, o
quasi, le vuole togliere.
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