di Luca Telese
Vi sembrerà poco, ma è un passaggio di epoca. La domenica del voto, per dire, il video più visto di YouTube era quello che sbeffeggiava le previsioni meteo del Tg1 di Minzolini, ovvero quello in cui l’annunciatrice con un sorriso vagamente orwelliano diceva: “Domani contrariamente a oggi ci sarà sole, una giornata ideale per andare al mare”. Col ciufolo. Ma erano pieni di messaggi entusiastici che inneggiavano alla vittoria referendaria (prima ancora che si verificasse) anche gli altri video più visti, persino quello sui modi di dire (!). Il terzo più visto era quello di Corrado Guzzanti che “traduceva” il “messaggio di servizio” della Rai con l’invito al non voto e il quinto il Passaparola di Marco Travaglio sui quesiti referendari. E’ vero che nelle amministrative di due anni fa c’era stato già lo strepitoso successo delle liste Cinquestelle, successo nato e cresciuto nella rete, e fori dai media tradizionali. Ma è anche vero che fino alle scorse regionali nessuno poteva immaginare che la comunicazione maggioritaria, (quella come direbbe il maestro Carlo Freccero che “orienta la maggioranza del paese”) potesse avvenire fuori dai canali tradizionali.
Fino a ieri la tv generalista orientava tutto: spingeva la palla nel campo della maggioranza (presunta), era indispensabile per consolidare i successi. Adesso si dimostra che per la prima volta i grandi giornali di opinione possono essere orientati dall’opinione pubblica via Internet. E che si può ribaltare il verdetto della tv generalista. Se ci pensate è un messaggio deflagrante anche per i dirigenti della “sinistra esangue” che in questi anni hanno perso tutti i treni senza capire cosa stesse accadendo. Quella parte del Pd, tanto per dire, che fino ad un mese fa diceva “i referendum sono un errore perché il quorum non si può raggiungere”, e quella che ha addirrittura fatto campagna elettorale nei comitati per il no (pensate al referendum sull’acqua!), ma anche quella che ha parteggiato sottobanco per il nucleare (se avesse la dignità di gran democratico lombardo a cui aspira Veronesi si dovrebbe dimettere dall’Agenzia dell’atomo).
L’ultimo elemento è forse questo: si tratta – e qui penso ovviamente al 1974, e al trionfo del quesito sul divorzio – di un referendum “costituente”. Di un referendum, cioè, che non si limita a risolvere con un Sì o con un No un quesito legislativo. Ma di una costellazione di quesiti che ridisegna un sistema di valori. Da domani, cioè, quando anche da sinistra qualche professore proverà a spiegarci che se le bollette dell’acqua ad Aprilia triplicano (una storia che abbiamo raccontato a In Onda con un bellissimo reportage di Valeria Aloisio) si tratta di una “legge di mercato”, lo aspettano – giustamente – pernacchie e sberleffi. Questi referendum ridisegnano la mappa delle priorità e mettono al primo posto l’idea del bene “comune”. Attuatelo come volete – dice la gente – ma non trasformate l’acqua in un profitto per i privati. A questo passaggio di concezione sono molto più attrezzati Grillo, Di Pietro e Vendola, che ne parlano da anni, di tutti i polverosi riformisti delle sinistre tradizionali.
Infine Berlusconi. Che dire poverino? Esce da questo confronto come un pugile suonato. Prima ci ha fatto spendere 400 milioni nel tentativo disperato di dividere referendum e amministrative, nella speranza che mancasse il quorum. Poi ha abbandonato la sua trincea, ha rinunciato a difendere le proprie idee e le proprie leggi (una follia!), ha cercato di piegarsi di fronte alla marea (lui al contrario di certi leader del Pd aveva capito dove tirava il vento). Adesso proverà a ripetere le solite citrullerie dei governanti battuti: “Noi avevamo dato libertà di voti”, “Non era un test politico”. Col cavolo. E’ un verdetto inappellabile. Sono state affondate le due leggi-simbolo del paradigma del centrodestra. E’ stato punito anche il tentativo di piccolo cabotaggio di far sparire in un cilindro il programma nucleare che (parole sue) avrebbe dovuto “cambiare faccia all’Italia del terzo millennio”. Che questo voto abbia cambiato faccia non c’è dubbio. La sua, però.
13 giugno 2011
Quando scoppiò la rivoluzione d’ottobre Antonio Gramsci scrisse che si trattava di una rivoluzione “contro il capitale”. Voleva dire che avveniva malgrado le pretese teorizzazioni del socialismo (pseudo) scientifico, contro il dogma, persino contro la profezia politica di Karl Marx secondo cui la rivoluzione non poteva che verificarsi in un paese di socialismo avanzato. Ricorro a un paragone storico così impegnativo perché dentro questo trionfo del referendum è scritta un’altra sentenza non meno importante e dirompente, per noi. Questa vittoria del referendum è avvenuta “contro la televisione”. Ovvero contro il fuoco di fila della televisione generalista, monopolista, governativa, che si è spinta fino a dare date false per indicare il giorno del voto e provare a depistare gli elettori.Vi sembrerà poco, ma è un passaggio di epoca. La domenica del voto, per dire, il video più visto di YouTube era quello che sbeffeggiava le previsioni meteo del Tg1 di Minzolini, ovvero quello in cui l’annunciatrice con un sorriso vagamente orwelliano diceva: “Domani contrariamente a oggi ci sarà sole, una giornata ideale per andare al mare”. Col ciufolo. Ma erano pieni di messaggi entusiastici che inneggiavano alla vittoria referendaria (prima ancora che si verificasse) anche gli altri video più visti, persino quello sui modi di dire (!). Il terzo più visto era quello di Corrado Guzzanti che “traduceva” il “messaggio di servizio” della Rai con l’invito al non voto e il quinto il Passaparola di Marco Travaglio sui quesiti referendari. E’ vero che nelle amministrative di due anni fa c’era stato già lo strepitoso successo delle liste Cinquestelle, successo nato e cresciuto nella rete, e fori dai media tradizionali. Ma è anche vero che fino alle scorse regionali nessuno poteva immaginare che la comunicazione maggioritaria, (quella come direbbe il maestro Carlo Freccero che “orienta la maggioranza del paese”) potesse avvenire fuori dai canali tradizionali.
Fino a ieri la tv generalista orientava tutto: spingeva la palla nel campo della maggioranza (presunta), era indispensabile per consolidare i successi. Adesso si dimostra che per la prima volta i grandi giornali di opinione possono essere orientati dall’opinione pubblica via Internet. E che si può ribaltare il verdetto della tv generalista. Se ci pensate è un messaggio deflagrante anche per i dirigenti della “sinistra esangue” che in questi anni hanno perso tutti i treni senza capire cosa stesse accadendo. Quella parte del Pd, tanto per dire, che fino ad un mese fa diceva “i referendum sono un errore perché il quorum non si può raggiungere”, e quella che ha addirrittura fatto campagna elettorale nei comitati per il no (pensate al referendum sull’acqua!), ma anche quella che ha parteggiato sottobanco per il nucleare (se avesse la dignità di gran democratico lombardo a cui aspira Veronesi si dovrebbe dimettere dall’Agenzia dell’atomo).
L’ultimo elemento è forse questo: si tratta – e qui penso ovviamente al 1974, e al trionfo del quesito sul divorzio – di un referendum “costituente”. Di un referendum, cioè, che non si limita a risolvere con un Sì o con un No un quesito legislativo. Ma di una costellazione di quesiti che ridisegna un sistema di valori. Da domani, cioè, quando anche da sinistra qualche professore proverà a spiegarci che se le bollette dell’acqua ad Aprilia triplicano (una storia che abbiamo raccontato a In Onda con un bellissimo reportage di Valeria Aloisio) si tratta di una “legge di mercato”, lo aspettano – giustamente – pernacchie e sberleffi. Questi referendum ridisegnano la mappa delle priorità e mettono al primo posto l’idea del bene “comune”. Attuatelo come volete – dice la gente – ma non trasformate l’acqua in un profitto per i privati. A questo passaggio di concezione sono molto più attrezzati Grillo, Di Pietro e Vendola, che ne parlano da anni, di tutti i polverosi riformisti delle sinistre tradizionali.
Infine Berlusconi. Che dire poverino? Esce da questo confronto come un pugile suonato. Prima ci ha fatto spendere 400 milioni nel tentativo disperato di dividere referendum e amministrative, nella speranza che mancasse il quorum. Poi ha abbandonato la sua trincea, ha rinunciato a difendere le proprie idee e le proprie leggi (una follia!), ha cercato di piegarsi di fronte alla marea (lui al contrario di certi leader del Pd aveva capito dove tirava il vento). Adesso proverà a ripetere le solite citrullerie dei governanti battuti: “Noi avevamo dato libertà di voti”, “Non era un test politico”. Col cavolo. E’ un verdetto inappellabile. Sono state affondate le due leggi-simbolo del paradigma del centrodestra. E’ stato punito anche il tentativo di piccolo cabotaggio di far sparire in un cilindro il programma nucleare che (parole sue) avrebbe dovuto “cambiare faccia all’Italia del terzo millennio”. Che questo voto abbia cambiato faccia non c’è dubbio. La sua, però.
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