5 dicembre 2014 -
Gianni Barbacetto
Il mito della destra esclusa & pulita (e anche antimafia) si nutre delle storie
di tanti militanti onesti, ancorché fascisti, e anche di figure limpide
come quella di Paolo Borsellino. Ma non fa i conti con una realtà ben
più articolata. Intanto il “polo escluso” (così il politologo Pietro
Ignazi ha definito l’area politica che ruotava attorno al Msi) era in
realtà un “polo occulto”. Quasi del tutto fuori dai circuiti del potere
visibile, la destra di fede fascista ha in realtà sempre cogestito una
larga fetta di “potere invisibile”. Il Msi è stato infatti coinvolto fin
dalla
sua nascita nella gestione dello Stato, dentro i suoi apparati più
segreti e le sue operazioni più sotterranee. Forze armate, ministero
dell’Interno, servizi segreti hanno sempre avuto rapporti stretti con il
Movimento sociale e i suoi uomini. È esistito dunque in Italia anche un
invisibile consociativismo di destra, in cui i “neri” hanno gestito una
parte importante di delicatissimi apparati dello Stato, assumendosi
spesso il compito di fare i “lavori sporchi” del sistema.
Guardavano
al Msi i generali più importanti delle Forze armate negli anni
Sessanta, a cominciare da Giuseppe Aloja, il capo di Stato maggiore che
istituisce i “corsi d’ardimento” per formare “migliaia di uomini
particolarmente addestrati contro la guerra sovversiva”, secondo la
testimonianza di due personaggi coinvolti in quell’operazione, Pino
Rauti e Guido Giannettini. Un uomo-chiave dei servizi segreti, Vito
Miceli, termina la sua carriera in Parlamento, nei seggi del Movimento
sociale, dopo essere stato capo del Sid, il servizio segreto militare,
negli anni cruciali della strage di piazza Fontana (1969) e dei tentati
golpe Borghese (1970) e Rosa dei
venti (1973). Approdano nelle file del Msi molti altissimi ufficiali:
dal generale Giovanni De Lorenzo (quello del Piano Solo, 1964)
all’ammiraglio Gino Birindelli. E quanti uomini della destra lavorano,
apertamente o in maniera “coperta”, per i servizi segreti, da Miceli a
Rauti, da Giannettini a Stefano Delle Chiaie, da Giano Accame a Piero
Buscaroli. I militanti neri, sempre in bilico tra Msi e gruppi
extraparlamentari (principalmente Ordine nuovo e Avanguardia nazionale),
sono per decenni il serbatoio da cui attingere personale, sotto
lo sguardo attento dei servizi di sicurezza, da impiegare nelle
operazioni della “guerra non ortodossa”, teorizzata nel 1965 nel
convegno al Parco dei Principi e passata attraverso il fuoco delle
stragi, da piazza Fontana a Bologna.
Solo
militanza politica (o politico-militare)? No. L’incrocio con gli
affari, la politica e la corruzione (e anche con la mafia) è una
costante di questa storia nera. Licio Gelli era già un perno della
“terra di mezzo”, in contatto, sopra, con i Sindona, i Calvi, i
Berlusconi e, sotto
,
con le bande dei neri toscani e i gruppi romani in cui s’incontravano
eversione, servizi, malavita e mafia. La banda della Magliana era già
Mafia Capitale, commistione “perfetta” di affari, politica e
criminalità. Altro che “cuori neri”, altro che destra dura e pura. A
parole proclamava ideali alti, ancorché fascisti; in pratica li tradiva
ogni giorno in un balletto di spioni, informatori, infiltrati e
traditori sempre pronti a vendere i camerati. A parole era
antimassonica; ma molti esponenti di primo piano del Msi erano in
segreto iscritti alla P2: Birindelli, ex presidente del partito (tessera
numero 1670), i deputati Giulio Caradonna (2192) e Sandro Saccucci, il
senatore Mario Tedeschi (2127),
oltre a Vito Miceli (1605). A parole erano anche antimafiosi; ma la
pratica, nel Paese dei patti sotterranei e delle alleanze
inconfessabili, è diversa dalla teoria. Così la destra non ha esitato a
trattare e collaborare con le mafie. Con Cosa Nostra in occasione del
golpe Borghese; con la ’ndrangheta durante e dopo la rivolta di Reggio;
con entrambe durante la trattativa del 1992-93.
P2 e Magliana restano gli eterni
modelli di una commistione affari/politica/criminalità/mafia che ha
attraversato tutta la storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Il “mondo
di mezzo” di Massimo Carmina-ti, milanese, detto “er Cecato”, ora è una
versione di certo innovativa di quel modello, ma dentro una tenace
continuità che non riescono a vedere soltanto i nostalgici di un mitico
fascismo duro e puro che in Italia non è mai
esistito.
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