Corriere della Sera
30 luglio 2014 - Nessun Commento »
Massimo Franco
Bisogna chiedersi perché sia fallita la mediazione tentata con la sua lettera ai senatori della maggioranza da Matteo Renzi. Forse, una delle ragioni è che non appariva abbastanza credibile, e dunque si è sbriciolata nell’impatto con Palazzo Madama.D’altronde, l’apparente soluzione è stata offerta con una tale mole di riserve mentali, da apparire un’ennesima furbizia e non una novità e una garanzia. L’esito è lo stallo rissoso visto ieri in Senato, che riflette l’impotenza della politica. Ormai, più che al muro contro muro siamo alla variante deteriore del tutti contro tutti; e ad un punto interrogativo su riforme e futuro dell’Italia. Nessuno ha mostrato di volere davvero rinunciare a qualcosa: né Sel e Movimento 5 stelle, abbarbicati ai loro emendamenti strumentali come mezzi di sopravvivenza e di boicottaggio del governo; né palazzo Chigi, convinto o illuso di poter conseguire i suoi obiettivi limitandosi a cedere una manciata di giorni a partiti che parlano di difesa della Costituzione ma pensano anche a strappare un sistema elettorale meno punitivo per loro: la vera posta in gioco.
Il patto del Nazareno del gennaio scorso tra Renzi e Silvio Berlusconi si conferma un accordo di ferro e insieme una gabbia dalla quale nessuno può uscire. Si tratta di un’intesa della quale l’Italicum è uno dei perni. Serve a blindare le forze maggiori e di fatto schiaccia i partiti piccoli, a meno che non si alleino con i grandi. Nel momento in cui il presidente del Consiglio accenna ad una qualunque concessione alle forze minori, scatta dunque il veto di Berlusconi. Proprio perché indebolito, il capo di FI ha assoluto bisogno di costringere la diaspora del centrodestra a tornare nella sua orbita. Se Renzi cede qualcosa sulle preferenze e le soglie, o soltanto ammette che il capitolo rimane aperto, uno dei capisaldi del patto di gennaio viene meno.
La riforma del Senato è soltanto il paravento di questo conflitto politico sull’Italicum , e di altri in incubazione: a cominciare dalla successione al Quirinale. Un brutto paravento, perché lo spettacolo offerto ieri dai senatori è stato uno scontro dai connotati lunari: voto segreto e separato, «spacchettamento» degli emendamenti, cavilli regolamentari. E insulti. La discussione, esasperante nella sua circolarità, si è trasformata senza volerlo in una sorta di apoteosi della palude parlamentare: una palude alla quale governo e maggioranza non appaiono estranei. Anzi, l’impressione sconfortante è che ne stiano diventando abitanti involontari e riottosi, ma a pieno titolo. È come se faticassero a uscire dalla trappola che hanno contribuito a costruire.
Le prime votazioni a scrutinio segreto hanno premiato la coalizione governativa. E oltre mille dei circa ottomila emendamenti sono già stati smaltiti. Eppure, le previsioni sono di un conflitto permanente e inasprito dalla volontà della maggioranza di procedere anche a costo di una riforma a strappi; e dalla determinazione di Beppe Grillo e di Nichi Vendola di accreditare la caricatura di una dittatura allo stato nascente.
Non è chiaro quanto si possa andare avanti così, mentre dal fronte economico arriva un rosario di previsioni negative per l’autunno. Dopo le speranze suscitate da Renzi, e premiate alle elezioni europee del 25 maggio, sembra che si sia inceppato qualcosa. La stessa Europa mostra un filo di impazienza verso il governo italiano. Sarebbe davvero paradossale se si diffondesse l’impressione che la strategia della velocità scelta per rivoluzionare l’Italia, per ora rischia di far perdere altro tempo prezioso. Il governo ostenta serenità e voglia di andare avanti, perché si sente sostenuto dal Paese come alternativa al caos. Ma senza risultati tangibili, presto potrebbe non bastare più.
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