Di seguito l'intervista del
sociologo svizzero e consulente Onu Jean Ziegler rilasciata nel 2005 al
giornalista Giuseppe Accardo durante la presentazione del suo ultimo
libro “ L'impero della vergogna” al canale televisivo francese TV5
[01/08/2007]
Traduzione dal testo francese di Manuel Antonini
D. Il suo libro si intitola L'impero della vergogna. Qual è questo impero? Perché “della vergogna”? Qual è questa vergogna?
Nelle favelas del nord del Brasile, capita alle madri, la sera, di
mettere dell'acqua nella pentola e di infilarci delle pietre. Ai loro
figli che piangono per la fame, spiegano che “presto la cena sarà
pronta...”, sperando che nel frattempo i ragazzi si addormentino.
Provi a misurare la vergogna provata da una madre davanti ai suoi figli vittime della fame e che lei è incapace di nutrire.
L'ordine omicida del mondo – che uccide attraverso la fame e
l'epidemia 100.000 persone al giorno – non provoca solamente la vergogna
tra le sue vittime, ma anche fra di noi, occidentali, bianchi,
dominatori, che siamo i complici di questa ecatombe, coscienti,
informati e, tuttavia, silenziosi, vigliacchi e paralizzati.
L'impero della vergogna? Ecco ciò che potrebbe essere questo impero
generalizzato del sentimento di vergogna provocato dall'inumanità
dell'ordine mondiale. Infatti, egli rappresenta l'impero delle
multinazionali private, dirette dai cosmocrati (cosmocrates). Le 500 più
potenti tra queste l'anno scorso (2004 n.d.r.) hanno controllato il 52%
del prodotto mondiale lordo, ossia di tutta la ricchezza prodotta sul
pianeta.
D. Nel libro lei parla di “violenza strutturale”. Che cosa significa?
Nell'impero della vergogna, governato da pochi ben organizzati, la
guerra non è più episodica, è permanente. Non costituisce più una crisi,
una patologia, bensì la normalità. Non equivale più all'eclisse della
ragione, come affermava Horkheimer, ma è la ragione d'essere
dell'impero.
I signori della guerra economica hanno messo il pianeta in scacco.
Attaccano i poteri normativi degli stati, contestano la sovranità
popolare, sovvertono la democrazia, devastano la natura, distruggono gli
uomini e le loro libertà. La liberizzazione dell'economia, la mano
invisibile del mercato sono la loro cosmogonia; la massimizzazione del
profitto, la loro pratica.
Chiamo violenza strutturale questa pratica e questa cosmogonia.
D. Parla anche di una “agonia del diritto”. Che cosa intende dire con questa espressione?
Ormai la guerra preventiva senza fine, l'aggressività permanente dei
signori, l'arbitrio, la violenza strutturale regnano senza ostacoli. La
maggior parte delle barriere del diritto internazionale affondano.
L'Onu stessa è esangue. I cosmocrati sono al di sopra della legge.
Il mio libro è il racconto del crollo del diritto internazionale,
citando numerosi esempi tratti direttamente dalla mia esperienza di
consulente speciale delle Nazioni Unite per il diritto
all'alimentazione.
D. Lei considera la fame come un'arma di distruzione di massa. Quale soluzione suggerisce?
Con il debito internazionale, la fame è l'arma di distruzione di
massa che serve ai cosmocrati per stritolare – e per sfruttare – i
popoli, specialmente nell'emisfero Sud del mondo. Un insieme complesso
di misure, immediatamente realizzabile e che descrivo nel libro,
potrebbe rapidamente mettere un termine alla fame. E' impossibile
riassumerle in una frase.
Una cosa, però, è certa: l'agricoltura mondiale, nello stato attuale
della sua produttività, potrebbe soddisfare il bisogno di cibo in un
numero doppio rispetto all'umanità presente oggi nel mondo. Non esiste
alcuna fatalità: la fame è una questione che riguarda l'uomo.
D. Certi paesi sono oppressi da un debito che lei definisce
odioso. Che cosa intende dire con la formula “debito odioso” e quale può
essere una soluzione?
Il Rwanda è una piccola repubblica di 26.000 km2, posta sulla cresta
dell'Africa centrale, che separa le acqua del Nilo e del Congo e
coltiva the e caffè. Da aprile a giugno del 1994, un genocidio
terribile, organizzato dal governo hutu alleato alla Francia di François
Mitternad, ha provocato la morte di oltre 800.000 uomini, donne e
bambini tutsi (e hutu moderati n.d.r.). I macheti che servirono per i
massacri sono stati importati dalla Cina e dall'Egitto, e finanziati,
fondamentalmente, dal Crédit Lyonnais. Oggi, i sopravvissuti, dei
contadini poveri come Job, devono rimborsare le banche e i governi
creditori perfino dei crediti che sono serviti per l'acquisto dei
macheti dei genocidari.
Ecco un esempio di debito odioso. La soluzione passa per
l'annullamento immediato e senza compromessi o, per cominciare, da un
esame del debito, come suggerito dall'Internazionale socialista o come
ha fatto in brasile il presidente Lula, per rinegoziarlo in seguito voce
per voce. In ogni voce ci sono infatti elementi delittuosi –
corruzione, eccesso di fatturazione, etc. - che devono essere ridotti.
Delle società internazionali di esame, come PriceWaterhouseCooper o
Ernst&Young, possono farsene carico, come fanno ogni anno con le
verifiche dei conti delle multinazionali.
D. Lei cita più volte il presidente Lula da Silva come un modello. Che cosa della sua azione le inspira questa considerazione?
Provo a volte dell'ammirazione e dell'inquietudine considerando gli
obiettivi politici e l'azione del presidente Lula: dell'ammirazione
perché è il primo presidente brasiliano ad aver riconosciuto che il suo
paese conta 44 milioni di cittadini gravemente e permanentemente
malnutriti e ad aver voluto mettere un termine a questa situazione
inumana; dell'inquietudine, perché con un debito estero di 235 miliardi
di dollari Lula non ha i mezzi per porre fine a questa situazione.
D. Nel suo libro parla anche di una “rifeudalizzazione del mondo”. Cosa vuol dire?
Il 4 agosto 1789, i deputati dell'Assemblea Nazionale francese hanno
abolito il regime feudale. La loro azione ha avuto una eco universale.
Bene, oggi, noi assistiamo a un formidabile ritorno indietro. L'11
settembre 2001 non ha solamente fornito a George W. Bush l'occasione di
estendere l'impero degli Usa sul mondo, ma l'evento ha anche
giustificato la messa in scacco dei popoli dell'emisfero Sud per conto
delle grandi società private transcontinentali.
D. Nel testo fa molto spesso riferimento alla Rivoluzione
francese e a certi suoi protagonisti (Danton, Babeuf, Marat...): in cosa
crede questa possa avere ancora qualcosa da apportare, due secoli dopo e
in un mondo molto differente?
Basta leggere i testi! Il “Manifeste des Enragés” di Jacques Roux
fissa l'orizzonte di qualsiasi lotta per la giustizia sociale
planetaria. I valori fondatori della repubblica, o meglio, della
civilizzazione tout court, risalgono all'epoca dei Lumi. Oggi l'impero
della vergogna distrugge persino la speranza di concretizzare questi
valori.
D. Accusa anche la guerra globale contro il terrorismo di
togliere le risorse necessarie ad altri combattimenti più importanti,
come quello contro la fame. Lei pensa che il terrorismo sia una falsa
minaccia, coltivata da qualche stato? Se sì, che cosa glielo fa credere?
Pensa inoltre che questa minaccia non sia reale o meriti un trattamento
differente?
Il terrorismo di stato di Bush, Putin, Sharon è altrettanto
detestabile del terrorismo dei gruppi jihadisti o di altri pazzi
sanguinari di questo tipo. Sono due facce di una stessa barbarie. E sono
reali sia l'una che l'altra, poiché sia Bush che Ben Laden uccidono. Il
problema è sradicare il terrorismo: non può avvenire che con uno
sconvolgimento totale dell'impero della vergogna. Solo la giustizia
sociale planetaria potrà tagliare ai jihadisti le loro radici e privare i
lacchè dei cosmocrati dei pretesti fondanti le loro risposte.
D. Nel 2002, lei è stato nominato consulente speciale dell'Onu
per il diritto all'alimentazione. Quali riflessioni le ha ispirato
questa missione?
Il mio mandato è appassionante: in totale indipendenza –
responsabile davanti all'Assemblea generale dell'Onu e alla Commissione
dei diritti dell'uomo – devo rendere valido giuridicamente, attraverso
il diritto statuario o consuetudinario, un nuovo diritto dell'uomo
all'alimentazione. E' un lavoro di Sisifo! Avanza millimetro dopo
millimetro. Il luogo centrale di questa lotta è la coscienza collettiva.
Per molto tempo la morte degli esseri umani a causa della fame è stata
tollerata in una sorta di normalità congelata. Oggi, è considerata
intollerabile. L'opinione pubblica fa pressioni sui governi e sulle
organizzazioni (WTO, FMI, Banca Mondiale etc.) affinché misure
elementari siano prese per sconfiggere il nemico: riforme agrarie nel
terzo mondo, prezzi adeguati pagati per i prodotti agricoli del Sud,
razionalizzazione dell'aiuto umanitario in caso di improvvise
catastrofi, chiusura della Borsa delle materie prime agricole di Chicago
(che specula sui principali alimenti), lotta contro la privatizzazione
dell'acqua etc.
D. Nel suo libro appare come un difensore della causa
altermondialista, come un portavoce di questo movimento. Come mai
interviene raramente nelle manifestazioni “alter” e che il movimento non
vi considera generalmente come un intellettuale altermondialista?
In che senso? Ho parlato davanti a 20.000 persone al "Gigantino" di
Porto Alegre nel gennaio del 2003. Mi sento come un intellettuale
organico della nuova società civile planetaria, dei suoi molteplici
fronti di resistenza, di questa formidabile fraternità della notte. Ma
resto fedele ai principi dell'analisi rivoluzionaria di classe, a
Jacques Roux, Babeuf, Marat e Saint-Just.
D. Sembra che lei attribuisca tutti i drammi del mondo alle
multinazionali e ad una manciata di stati (Russia, Usa, Israele...): non
è un po' riduttivo?
L'ordine del mondo attuale non è solamente omicida, è anche assurdo.
Uccide, distrugge, massacra, ma senza altra necessità che la ricerca
del massimo profitto per qualche cosmocrate ossessionato dal potere e da
un'avidità illimitata.
Bush, Sharon, Putin? Dei lacchè, degli ausiliari. Aggiungo un
post-scriptum su Israele: Sharon non è Israele. E' la sua perversione.
Michael Warshavski, Lea Tselem, i “Rabbini per i diritti dell'uomo” e
tante altre organizzazioni di resistenza incarnano il vero Israele, il
suo avvenire. Meritano tutta la nostra solidarietà.
D. Crede che la morale abbia il suo posto nelle relazioni
internazionali, che sono attualmente piuttosto dettate dagli interessi
economici e geopolitici?
Non c'è scelta. O si sceglie per lo sviluppo e l'organizzazione
normativa o si sceglie per la mano invisibile del mercato, la violenza
del più forte e l'arbitrio. Potere feudale e giustizia sociale sono
radicalmente antinomici.
“In avanti verso le nostre radici” esige il marxista tedesco Ernst
Bloch. Se noi non restauriamo con tutta urgenza i valori dei Lumi, la
repubblica, il diritto internazionale, la civilizzazione come noi li
abbiamo costruiti negli ultimi 250 anni sono destinati a essere
ricoperti, inghiottiti dalla giungla.
D. Da quando i talebani sono hanno lasciato il governo
dell'Afghanistan, il Medio Oriente sembra essere attraversato da
un'ondata di democratizzazione più o meno spontanea (elezioni in
Afghanistan, in Iraq, in Palestina, apertura delle presidenziali ad
altri candidati in Egitto...). Come giudica tutto questo? Crede che la
democrazia possa essere esportata in questi paesi? O ritiene piuttosto
che siano condannati ad avere regimi dispotici?
Non si tratta di esportare la democrazia. Il desiderio di autonomia,
di democrazia, di sovranità popolare è consustanziale all'essere umano,
quale che sia la regione del mondo dove egli è nato. Il mio amico e
grande sociologo siriano Bassam Tibi vuole vivere in una democrazia e ne
ha diritto. Ora, da oltre trent'anni, vive in Germania , esiliato dalla
dittatura terribile che imperversa nel suo paese.
Elias Sambar, scrittore palestinese, un altro mio amico, ha diritto a
una Palestina libera e democratica, non a una Palestina occupata, né ad
una vita sotto la ferocia dei fondamentalisti islamici.
Tibi, Sambar ed io vogliamo la stessa cosa e ne abbiamo diritto: la
democrazia. Il problema: la guerra fredda, la strumentalizzazione dei
regimi al potere da parte delle grandi potenze ed infine la
vigliaccheria dei democratici occidentali, la loro mancanza di
solidarietà attiva e reale, fanno in modo che i tiranni del Medio
Oriente, dell'Arabia Saudita, dell'Egitto, della Siria, dei paesi del
Golfo, dell'Iran hanno potuto durare fino ad oggi.