di Enrico GrazziniFinalmente una testata autorevole per la sinistra europea come
Le Monde Diplomatique ha pubblicato in prima pagina un lungo e argomentato articolo titolato “
Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua”
[1]. L'articolo rompe un tabù: finora “solo” gli economisti
anglosassoni, qualche isolato economista europeo e italiano considerato
originale e strambo [2], e qualche formazione estremista, soprattutto di
destra, hanno osato parlare della possibilità di uscire dall'euro.
Finalmente, grazie all'autorevolezza riconosciuta della testata francese
(certamente non estremista), dovrebbe essere possibile avviare anche in
Italia un dibattito critico e approfondito sull'euro e sull'Unione
Europea, senza illusioni romantiche sul radioso avvenire dell'Europa,
senza subalternità ideologiche e senza censure. Gran parte della
sinistra italiana, sia quella tradizionale che quella cosiddetta
radicale e alternativa, finora ha chiuso occhi, orecchie e bocca sulla
moneta unica europea: ma la sinistra dovrebbe cominciare a ripensare
radicalmente l'euro e riconoscere che l'Unione Europea ha cambiato
natura genetica rispetto agli ideali originari [3].
La sinistra
finora ha ignorato la drammaticità del problema della moneta unica. Ma
non dovrebbe assolutamente lasciare alla destra fascisteggiante,
reazionaria e sciovinista il monopolio della protesta sulla questione
scottante dell'euro e della sovranità nazionale. Sollevare il problema
dell'euro tedesco non dovrebbe essere considerato sintomo di bieco
nazionalismo: la sinistra dovrebbe invece affrontare con coraggio il
problema se non vuole che il populismo di destra – alla Le Pen, alla
Berlusconi o alla Bossi, che sono molto critici verso l'euro e la UE –
si affermi facilmente presso le fasce popolari. Anche perché ormai, come
vedremo, i sondaggi indicano che l'euro e l'Unione Europea sono visti
dall'opinione pubblica certamente più come un problema che come una
soluzione.
La sinistra dovrebbe addirittura spingersi a proporre
un referendum sulle drammatiche questioni dell'euro e del fiscal
compact. Questa proposta non dovrebbe essere tacciata pregiudizialmente
di populismo. Al di là dei risultati del voto popolare, avrebbe comunque
il merito di rilanciare la discussione su due problemi fondamentali:
l'euro a direzione tedesca e la sovranità nazionale come forma basilare e
irrinunciabile di democrazia. Una consultazione pubblica a livello
nazionale è difficile da realizzare ma sarebbe salutare. Infatti è
indubbio che allo stato attuale i popoli dell'Europa si possano
esprimere democraticamente solo a livello nazionale. Il popolo europeo
non esiste ancora come popolo sovrano, è troppo diviso e frammentato in
lingue, culture, situazioni e aspirazioni diverse per riuscire a
esprimersi democraticamente. Il popolo dell'Europa non è neppure
rappresentato dalle istituzioni europee che sono fondamentalmente
interstatali - a parte il Parlamento Europeo, che però, pur essendo
eletto, ha pochissimi poteri -. Referendum sulle questioni europee e
sull'euro sono stati tenuti in paesi come Francia, Olanda, Danimarca,
Svezia e Irlanda. Perché allora non avviare anche in Italia un ampio
dibattito e cercare il voto popolare su una questione centrale che
impatta drammaticamente la vita dei cittadini? I popoli sono spesso più
saggi dei politici e non si dovrebbe avere timore della democrazia.
Non
facciamoci illusioni. La crisi dell'euro e quindi dell'Unione Europea
continuerà e probabilmente precipiterà. Purtroppo non stiamo uscendo
dalla crisi, come afferma il governo Letta. Ha ragione
Le Monde Diplomatique
quando afferma che l'euro genera un'austerità senza fine, e che è quasi
certo che, comunque vada, la moneta unica cesserà di esistere. La
scienza economica non è una scienza esatta e il futuro è intrinsecamente
imprevedibile. Tutte le previsioni sono degli azzardi. Ma l'euro così
come è attualmente è insostenibile e irriformabile semplicemente perché
la Bundesbank e la politica tedesca non vogliono riformarlo. Molte
persone colte e competenti possono suggerire alla Germania che cosa
dovrebbe fare per superare l'austerità e rinvigorire l'Europa [4]: ma è
inutile perché i governanti tedeschi non hanno la volontà e l'interesse a
seguire i consigli altrui. L'alternativa reale sembra questa: o la
speculazione internazionale romperà l'eurozona e provocherà il caos, o i
paesi dell'eurozona concorderanno in qualche maniera la rottura della
moneta unica per salvare almeno parzialmente l'Unione Europea [5].
Le Monde
propone realisticamente di “fare un passo indietro” e di passare dalla
moneta unica a una “moneta comune” concordata, che permetta però valute
nazionali autonome. Ma al di là della questione cruciale di come uscire
dalla camicia di forza della moneta unica, il problema dell'euro non è
solo economico e tecnico, ma anche e soprattutto politico, democratico,
istituzionale, e riguarda direttamente il presente e il futuro
dell'Unione Europea.
La morte dell'Europa democratica e federaleQuasi
certamente gli storici ricorderanno questo periodo come quello della
morte dell'idea nobile dell'Europa come unione volontaria e paritaria
degli stati in una entità solidale, federata, democratica e cooperativa.
L'Unione Europea sta agonizzando e ha modificato il suo DNA proprio con
la nascita dell'euro. Gli italiani erano tra i più entusiasti
dell'Unione Europea, la consideravano come un progresso democratico,
come un passo verso la modernità e come fattore di sviluppo. L'Unione
Europea oggi appare piuttosto come il duro e autoritario guardiano
sovranazionale dei “compiti” che ogni Stato deve fare “a casa” per
abbattere il welfare e fare regredire il benessere popolare. Non è più
possibile nutrire illusioni romantiche: esiste ormai un abisso
incolmabile tra le idee del Manifesto di Ventotene, gli sforzi di De
Gasperi, Adenauer e Shuman per costruire una Europa unita e pacifica, e
l'Unione Europea attuale. I trattati e i vincoli europei, a partire dal
trattato di Maastricht (definito “stupido” da Romano Prodi) e quello di
Lisbona, delineano una Unione Europea ultraliberista e autoritaria. Il
ritornello della campagna elettorale di Angela Merkel è questo:
“l'Europa il 7% degli abitanti nel mondo, il 25% del prodotto totale il
50% delle spese per il welfare: non possiamo più permettercelo” e
quindi ogni Stato deve fare i “compiti a casa” per ridurre la spesa
sociale e aumentare la produttività. In questo contesto e in base a
questa ideologia di centrodestra, l'Unione Europea è diventato il
ragioniere che controlla la riduzione dei bilanci sociali dei singoli
stati, e il poliziotto vigile che cura lo svolgimento dei “compiti a
casa” indipendentemente dalla volontà popolare, e anzi contro la volontà
popolare. Dopo i diktat, le sanzioni e le multe sono dietro l'angolo.
Il risveglio della potenza tedesca e l'egemonia sull'EuropaSpesso
l'Europa è stata accusata di essere l'Europa dei banchieri e delle
banche: ma questa accusa non è più vera. E' superata dalla realtà, e in
peggio. La UE è l'Europa delle banche e della finanza tedesca e degli
altri paesi creditori del Nord Europa, come Olanda e Finlandia, che
guadagnano dalla crisi europea. Sulla volontà egemonica tedesca
sull'Europa vale la spiegazione data (e riportata da questo sito) da
Marco D'Eramo [6]. Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, la
Germania sta uscendo prepotentemente dalla subalternità e, grazie al
successo della sua unificazione, pretende il suo posto preminente in
Europa e nel mondo globale. Vuole affermare la sua potenza e la sua
autonomia. Non a caso, contrariamente ad altre potenze occidentali, ha
deciso, per esempio, di non partecipare alle azioni militari in Libia e
in Siria.
Le Monde indica che l'euro – così come è stato
costruito secondo i dettami della Germania socialista di Schroeder e
della democristiana Merkel – contrasta la sovranità dei popoli e dei
singoli stati. E' in gioco niente di meno che la sovranità nazionale dal
momento che la politica monetaria è decisa dalla Banca Centrale Europea
e che anche la politica fiscale dei singoli stati è dettata dalla
Germania e da trattati intergovernativi capestro, come quello del fiscal
compact che produrrà effetti disastrosi (impone infatti una rapidissima
e automatica riduzione delle spese pubbliche anche nei periodi di
crisi, strozzando l'economia e il welfare [7]). Non è esagerato
affermare che l'Unione Europea è diventata il gestore del
neocolonialismo finanziario a guida tedesca. E come tutte le forme
neocoloniali, la UE opprime gli stati subalterni, li rende servili,
impedisce la loro crescita e schiaccia le classi popolari e i ceti medi.
Per i popoli europei diventa impossibile decidere democraticamente e
con un minimo di autonomia il proprio destino.
Il vero e grave
limite della politica tedesca di austerità consiste però nel fatto che è
talmente rigida, assurda e controproducente da diventare insostenibile.
Secondo la maggioranza degli economisti anglosassoni è difficile che
l'euro possa resistere: la politica di austerità alimenta la crisi e
divarica drammaticamente le nazioni europee, già così differenti dal
punto di vista economico, sociale e politico. Per la Merkel tutti gli
stati europei dovrebbero essere più produttivi, più competitivi,
ottenere surplus commerciali per ridurre i debiti esteri e raggiungere
il pareggio del bilancio pubblico, proprio come fa la Germania. Ma il
modello mercantilista tedesco fondato sull'abnorme surplus dell'export
non può essere trasferito a tutti i paesi europei. E' insostenibile. Il
tentativo vero della Merkel è probabilmente di indebolire e subordinare
gradualmente gli altri paesi UE senza però farli crollare del tutto,
fino a dominare di fatto l'economia europea: ma questo gioco è
estremamente pericoloso e incerto, ed è probabile che si riveli
impraticabile.
L'insostenibilità del modello tedesco e la proposta di Le Monde DiplomatiquePer
salvarsi, alcune economie indebitate e in deficit commerciale, meno
produttive, dovrebbero svalutare, mentre la Germania dovrebbe rivalutare
in maniera tale da contenere il suo avanzo commerciale con gli altri
paesi europei. La proposta di Le Monde è che gli stati europei
concordino di passare da una moneta unica a un sistema di cambi fissi
intraeuropei: l'euro rimarrebbe però come moneta comune sui mercati
internazionali di fronte al dollaro e alle altre valute extraeuropee. Il
punto debole di questo piano è che appare troppo razionale per essere
applicato nel contesto dell'attuale egemonia finanziaria tedesca. È più
probabile che la Germania continui a gestire la crisi per tentare di
raggiungere il dominio economico, e che però alla fine il tentativo
fallisca e porti alla rottura incontrollata dell'euro. Le incognite per
il mantenimento dell'euro attuale sono troppo numerose: il risultato
delle elezioni tedesche; la sentenza della Corte Costituzionale tedesca;
la ripresa della speculazione internazionale conseguente alla stretta
prevista della Federal Reserve; la crescita dei debiti dei paesi del
sud Europa; il possibile fallimento di qualche banca europea. Inoltre
nuovi movimenti politici (di destra o di sinistra) potrebbero scatenarsi
contro il fiscale compact, la riduzione drastica del welfare e le
imposizioni autoritarie della UE. In effetti la costruzione di questa
Europa ultra-autoritaria a guida tedesca si dimostra sempre più
complessa e sempre più improbabile. Gli stati litigano già sul bilancio
europeo e riducono i finanziamenti alla UE; in Germania l'opinione
pubblica considera lazzaroni e sfaticati i paesi del sud Europa; la Gran
Bretagna medita di uscire dalla UE; la Spagna ha perfino iniziato a
lottare contro i resti dell'impero britannico a Gibilterra, mentre la
Grecia reclama il pagamento dei debiti di guerra al governo tedesco. La
solidarietà europea sta cedendo di fronte alla competizione generata
dall'euro a guida tedesca. E la Merkel non vorrà mai una Europa federata
che metta a rischio l'autonomia e l'egemonia tedesca. Non a caso la
Germania opera soprattutto attraverso trattati intergovernativi al di
fuori della UE. Il fiscal compact è un trattato intergovernativo e il
Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), detto anche Fondo salva-stati, è
stabilito da un accordo tra governi.
L'Europa senza consenso popolareSi
sta costruendo un'Europa senza consenso popolare. L'opinione pubblica
europea è sempre più contraria a questa Europa e a questo euro. Lo
dimostrano i risultati della rilevazione compiuta a livello europeo da
parte dell'autorevole e neutrale Pew Research Center condotta nel maggio
2013 e significativamente intitolata: “Il nuovo malato d'Europa:
l'Unione Europea stessa” [8]. Secondo questa indagine la fiducia verso
la UE è al punto più basso dalla sua creazione. La UE è vista con favore
da meno della metà della popolazione europea, cioè dal 45% del totale
(rispetto al 60% del 2012). In Grecia solo il 33% è favorevole alla UE,
in Francia e in Gran Bretagna solo il 41-43%, in Spagna il 46%.
Solamente in Germania (60%) e in Italia (58%) resiste un'opinione
pubblica maggioritaria favorevole alla UE. Tuttavia la fiducia verso la
UE sta crollando a causa della crisi economica: dal 2007 al 2013 il
sentimento positivo verso lo stato dell'economia è sceso di 61 punti in
Spagna, 54 in Gran Bretagna, 22 in Italia, 21 in Francia e nella
Repubblica Ceca. Le divaricazioni aumentano. Tutte le nazioni europee
meno la Germania vedono nell'occupazione il problema principale. Secondo
l'opinione pubblica di tutti i paesi europei, meno la Germania, i
politici nazionali gestiscono male l'Unione Europea. La crisi economica
sta “creando forze centrifughe che dividono l'opinione pubblica europea,
separando in particolare la Germania da tutti gli altri paesi europei”,
in particolare dai francesi e dai paesi del sud Europa. Solo l'1% dei
Greci, il 3% degli italiani e il 9% dei francesi sono soddisfatti della
situazione economica attuale, contro il 75% dei tedeschi. Il 60% degli
europei (e il 90% dei francesi) pensa che i figli staranno peggio dei
padri. Il 77% crede che questo sistema favorisca solo i ricchi. L'85%
ritiene che il gap tra i ricchi e poveri sia aumentato negli ultimi
cinque anni, e il 66% pensa che questo gap costituisca un grave
problema.
In Grecia il 78% ritiene che l'appartenenza alla UE
abbia indebolito l'economia: la pensano allo stesso modo il 75% degli
italiani e il 60% degli spagnoli. La maggioranza guarda sfavorevolmente a
Bruxelles e ad una maggiore integrazione europea. A dispetto della
crisi e delle disillusioni su Bruxelles e l'Unione Europea, il 69% dei
greci, il 67% degli spagnoli, il 66% dei tedeschi, il 64% degli italiani
e dei francesi vogliono però mantenere l'euro. Forse l'euro viene
percepito come un male ormai irreversibile e l'uscita è considerata più
dannosa che benefica. Comunque i sondaggi parlano chiaro: l'Europa è
deludente ed è un problema in cerca di soluzione.
Ovviamente non
si tratta di decidere le proprie politiche in base ai sondaggi, ma di
prendere atto che il sentimento popolare verso l'Europa sta rapidamente e
radicalmente cambiando, e di tenere conto della percezione negativa
della UE. Spesso l'opinione pubblica è più ragionevole e critica dei
politici, degli economisti e dei tecnocrati. Non si tratta evidentemente
di rinunciare all'Europa unita e di essere “meno europeisti”: si tratta
invece di prendere finalmente atto della realtà politica attuale, senza
illusioni e idee preconcette.
Opporsi a questa Europa per un'altra Europa possibileOccorre
contrastare questo euro fallimentare e la passiva subalternità dei
governi italiani (e del centrosinistra) alle politiche tedesche ed
europee. Si tratta di denunciare il fiscal compact e questa Europa
autoritaria e neocoloniale, di prepararsi alla rottura della moneta
unica, e di ritornare all'idea originaria di una Europa democratica e
cooperativa. Bisogna iniziare una battaglia culturale e politica per
modificare sostanzialmente i trattati esistenti e costruire un'altra
Europa. Un'Europa in cui le sovranità nazionali non vengano schiacciate,
un'Europa magari con un euro comune ma (come suggerisce
Le Monde)
anche con monete nazionali il cui valore sia concordato. E' auspicabile
una Europa non presidenziale ma in cui il Parlamento – magari con due
camere, una eletta dal popolo, l'altra rappresentativa degli stati
membri – conti davvero e generi un governo condiviso senza gerarchie
schiaccianti tra gli stati. Occorreranno certamente più tempo e maggiori
sforzi per costruire l'Europa dei popoli: ma è questa l'Europa che
vogliamo.
NOTE [1] Frederic Lordon,
Le Monde Diplomatique - il manifesto, agosto 2013, “Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua”
[2]
Per citare solo gli autori italiani critici più recenti verso l'euro,
ricordiamo Bagnai Alberto: “Il tramonto dell'euro. Come e perché la fine
della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa” Editore
Imprimatur, 2012; Emiliano Brancaccio, Marco Passarella, “L'austerità è
di destra. E sta distruggendo l'Europa” Il Saggiatore, 2012 ; Bruno
Amoroso, Jesper Jesperson, “L' Europa oltre l'Euro: le ragioni del
disastro economico e la ricostruzione del progetto comunitario” Lit
Edizioni, 2012; Loretta Napoleoni, “Democrazia vendesi - Dalla crisi
economica alla politica delle schede bianche, Rizzoli, 2013; Marino
Badiale, Fabrizio Tringali “La trappola dell'euro”, Asterios Editore,
2012
[3] Chi scrive si è visto rifiutare la pubblicazione di un
articolo critico sull'euro da parte di Sbilanciamoci.info, l'organismo
vicino a SEL, che pure vorrebbe essere aperto e proporre politiche
alternative di sinistra. L'articolo in questione è stato pubblicato da
MicroMega: “
Lafontaine e la trappola dell’euro”, 21 maggio, 2013.
[4] Vedi per ultimo Luciano Gallino su Micromega, da Repubblica, 26 agosto 2013: “
I debiti della Germania e l’austerità della Merkel”
[5] Vedi anche di Enrico Grazzini: MicroMega, 27 giugno 2013, “
Occorre una svolta: ultimatum alla Merkel oppure uscire dall’euro”
[6]
Marco d'Eramo, vedi Micromega dal Manifesto, 14 dicembre 2011: “La
strategia di Berlino vista da Washington”. “L'obiettivo (della Merkel) è
la reinserzione a pieno titolo della Germania nel novero delle grandi
potenze planetarie, ovvero l'abrogazione totale dell'ordine uscito dalla
seconda guerra mondiale e dagli accordi di Potsdam (1945)..... Non
dimentichiamo mai che l'euro è sentito dalla Germania come l'ultimo
diktat derivato dalla sconfitta, come una prigione, cioè proprio quello
per cui era stato pensato. Non è difficile perciò immaginare che i
tedeschi provino una vera e propria Schadenfreude (termine che
meravigliosamente sintetizza la 'gioia provata per le disavventure
altrui') quando l'euro si ritorce contro chi l'aveva imposto e da
camicia di forza della potenza tedesca diventa invece l'arma di punta
del suo arsenale economico-finanziario”.
[7] Luciano Gallino, La Repubblica, 8 gennaio 2013 “Il baratro fiscale dell'agenda Monti”
[8] Pew Research Center, Maggio 2013: “The New Sick Man of Europe: the
European Union. French Dispirited; Attitudes Diverge Sharply from
Germans”.
(28 agosto 2013)