«L'orizzonte politico finale è chiaro: la definitiva rassegnazione collettiva.» [Giorgio Cattaneo]
di Giorgio Cattaneo
venerdì 27 dicembre 2013 09:29
«Perché l'America è nata nelle strade», recitava il trailer del kolossal
di Martin Scorsese, "The gangs of New York". E l'Europa di Bruxelles
dov'è nata, esattamente? In quali fogne? Nello scantinato di quale
tenebroso alchimista? L'Europa vera, l'unica che conti, è da sempre
interamente privatizzata. Porta il nome di
European Roundtable of Industrialists.
E detta ogni giorno le sue condizioni, le future leggi che già
l'indomani puniranno i sudditi. Lì emana, i suoi diktat, sicura di
essere obbedita, all'istante, da servitori opachi e zelanti come
José Manuel Barroso. Lui, il portoghese venuto dal nulla, che ai potenti di Bruxelles deve tutto.
E' l'uomo che dall'alto del suo palazzo guarda il suo Portogallo bruciare di rabbia e di fame, mentre,
en passant, transita negli innocui salotti televisivi, incluso quello italiano di
Fabio Fazio,
a ricordare che anche l'Italia "deve e può" fare di più per amputare,
senza anestesia, tutto quello che resta del suo stato sociale. Il vero
benessere diffuso - infrastrutture, stipendi, servizi vitali - non si
chiama più neppure
welfare, ma direttamente "debito pubblico".
Sottinteso: è una colpa vergognosa, un problema, un male da estirpare.
Come del resto il diritto a una vita dignitosa, a uno straccio di
futuro.
Dopo vent'anni, ci si accorge all'improvviso che l'attuale Unione
Europea è nemica, è interprete di una forma di barbarie particolarmente
subdola e disonesta perché non urla le sue livide minacce di guerra e
non sventola svastiche. Eppure ha tutt'altro scopo che la promozione
dell'umanità. E' un abile artificio autoritario, costruito con
l'inganno. E' la tomba dell'Europa democratica e popolare, assassinata e
poi risorta dal nazifascismo. Non è il Parlamento di Strasburgo
regolarmente eletto a governare il continente, ma uno sparuto clan di
servitori, agli ordini della Ert e delle altre lobby onnipotenti, che
infestano l'anonima capitale belga coi loro costosi uffici e i loro
budget miliardari con un unico obiettivo: ordinare alla Commissione di
ammantare di legalità le regole assolute del loro business oligarchico
progettato per la grande crisi, in tempi di coperta corta. E' il
business della globalizzazione totalitaria e recessiva, in base alla
quale retrocedere al medioevo quelli che fino a ieri erano cittadini e
lavoratori, consumatori ingenui e inguaribilmente ottimisti.
Per tutti loro, miseri e volgari
untermenschen, la ricreazione è
finita: devono abituarsi all'idea. Lo stato di eccezione - la Grecia
insegna - deve diventare la nuova, raggelante normalità. L'orizzonte
politico finale è chiaro: la definitiva rassegnazione collettiva. Ci
saranno proteste iniziali, grida, dimostrazioni. Ma poi sulle prime
fiammate di insofferenza calerà la coltre quotidiana della fatica, il
sipario del conforto televisivo fatto di favole, la maschera
rassicurante dell'ultimo pagliaccio travestito da politico. E ciascuno,
lentamente, tornerà alla sua usuale solitudine, al deserto freddo da cui
affrontare - senza più aiuti - l'atroce puntualità degli strozzini.
Ci saranno ancora grida, là fuori, ma per attutirne l'urto basterà
chiudere le finestre, almeno per il momento. Chiudere le finestre e
anche gli occhi, di fronte allo spettacolo quotidiano dei negozi che
chiudono, delle aziende che licenziano, degli anziani che frugano tra
gli scarti del mercato o mendicano smarriti la carità di una
prenotazione per esami clinici nell'ospedale di quartiere martoriato dai
tagli e trasformato in centro di primo soccorso per rifugiati di
guerra. Così, sempre più velocemente, la mala pianta dell'odio concimata
dalla paura ricomincerà a germogliare, rispolverando idiomi che
credevamo sepolti per sempre nel cimitero della storia - noi
incorreggibili italiani, voi maledetti tedeschi, i soliti presuntuosi
francesi.
Dopo un sonno lunghissimo, molti studiosi e paludati accademici si
risvegliano, e persino qualche politico comincia a rialzare la testa, a
denunciare l'imbroglio, a segnalare il pericolo che incombe. Negli
ultimi due anni - un manciata di mesi - le analisi si sono fatte
acuminate, lo sguardo è stato messo a fuoco con crescente lucidità. Si
spera nelle elezioni europee del maggio 2014, che forse saranno un primo
vero avvertimento sulla necessità di un'inversione di rotta. Si inizia a
delineare una meta - dal nome antico: democrazia - ma senza ancora
disporre di una strategia per raggiungerla. Cioè strumenti di pressione,
azioni politiche determinanti, rapporti di forza e strumenti da
impugnare per costringere gli oligarchi a cedere il loro attuale potere
assoluto.
L'unico leader occidentale disposto a scendere frontalmente sul terreno della rivendicazione diretta è
Marine Le Pen,
che minaccia l'uscita della Francia dall'Unione Europea e dalla sua
prigione economica, la non-moneta privatizzata chiamata euro. Ma Marine
Le Pen si appella alla nostalgia del suo popolo per la celebrata
grandeur nazionale, e - per rimarcare identità elettorale e visibilità -
non cede di un millimetro sulla antica crociata contro gli stranieri,
cioè i poveri del sud e dell'est. Ancora vaga, suggestiva ma del tutto
ipotetica, la proposta di candidare (virtualmente) il greco Tsipras alla
guida di Bruxelles, per costituire un cartello organizzato, in grado di
esprimere finalmente la voce legittima di centinaia di milioni di
europei presi al laccio dai signori della crisi.
C'è poi un'altra Europa, che per fortuna non ha mai smesso di esistere.
E' l'Europa che sognavano anime isolate e profetiche come quella di
Alex Langer,
eretico pioniere dell'ambientalismo come frontiera democratica, basata
sulla riconversione sostenibile dell'economia partendo dai territori,
dalle filiere corte, quelle che possono contrastare i monopoli
irresponsabili che oggi stanno facendo a pezzi il mondo, trascinandolo
verso una guerra cieca e disperata. Erano sodali di Langer gli
ambientalisti della piccola e periferica valle di Susa che lottarono con
successo - insieme ai francesi - per bloccare i maxi-elettrodotti
destinati a trasferire in Italia l'energia elettrica prodotta dalla
vicinissima centrale nucleare di Creys-Malville, pericolosa perché
prossima a Torino e continuamente funestata da incidenti.
Quei valsusini lottarono con successo, sempre insieme ai francesi, per
scongiurare la costruzione di una nuova autostrada e un nuovo traforo
che avrebbe devastato l'area alpina del Monginevro e la valle della
Clarée, gioiello naturale transalpino al confine con l'Italia. Il
comandante in capo, il sommo protettore politico di ogni grande opera
infrastrutturale devastante e inutile, sul versante francese era un
certo
Michel Barnier, allora governatore locale. Le élite
economico-finanziarie che ha servito con tanto zelo gli hanno garantito
una super-carriera: oggi monsieur Barnier è il potentissimo "ministro
delle finanze" della Commissione Europea.
Quell'Europa "nata nelle strade", per la precisione lungo quelle che
collegano Torino a Lione, aveva capito in anticipo molte cose. La prima,
fondamentale: la politica, qualsiasi politica, non può che camminare
sulle gambe delle persone comuni, disposte a battersi con onestà per
affermare un'idea irrinunciabile di giustizia. Italiani e francesi
manifestano insieme sui sentieri di Chiomonte, nelle strade di Lione
presidiate dalle forze antisommossa, e affrontano insieme la battaglia
per salvare l'area naturale di Notre-Dames-des-Landes, in Guascogna, che
la super-multinazionale Vinci vorrebbe asfaltare per far posto a un
inutile, mostruoso aeroporto. Sono sempre loro, italiani e francesi, ad
aver firmato nel 2010 la
Carta di Hendaye, nel paese basco, per
affermare che la comunità civile non può più tollerare l'abuso del
business che devasta la Terra sulla base di ciniche menzogne, solo per
arricchire una casta di super-predatori, protetti dalla copertura legale
offerta dalla mafia di Bruxelles.
Questa Europa esiste, e a volte ha saputo far parlare di sé, nonostante
la feroce interdizione dei media. Negare la verità, dice il generale
Fabio Mini,
è il primo vero atto di guerra contro tutti noi. Impegnarsi a farla
circolare, la verità, oggi più che mai è una meta decisiva. Non solo per
"fermare il mostro", ma per costruire umanità e veicolare le idee
necessarie a un'economia democratica, orientata al benessere. Pace,
democrazia, convivenza, sostenibilità: oggi, nel delirio autistico del
mainstream neoliberista, sembrano gli slogan di un programma eversivo e
folle, nell'Italia cannibalizzata dai predoni e appaltata ai loro
pallidi maggiordomi. Non è difficile, basterebbe dire: per tutti, o per
nessuno. Di queste idee dovrà essere armata, la nostra Europa, quando
tornerà nelle strade a dire che nessuno sarà mai più lasciato solo.