Risorgimento
Il ruolo delle eroine meridionali nella costruzione dell’Unità d’Italia. Antonietta De Pace, una combattente
Uno dei periodi storici più travagliati d’Italia è stato sicuramente quello Risorgimentale.
Ma anche quello più partecipato della nostra lunga storia, poiché in
gioco c’era la conquista di un’unità nazionale, che fu sì raggiunta ma
con il sacrificio di molti giovani uomini e donne. Questa sofferta
“epopea” merita di essere approfondita, al di là delle celebrazioni che
l’hanno vista al centro del dibattito politico e culturale del nostro
paese lo scorso anno (ricorrendo il 150° anniversario dell’unità
d’Italia), dato che ancora oggi in alcuni suoi aspetti rimane poco
esplorata.
Tante, tantissime sono state le protagoniste femminili, giovani patriote
di ogni classe sociale, borghesi e popolane, del Nord e del Sud della
penisola, mandate sotto processo, talvolta esiliate, incarcerate, finite
al patibolo negli anni cruciali della costruzione dell’Unità d’Italia.
Ricordiamo Colomba Antonietti di origine umbra, morta accanto al marito
vestita da uomo, o Carolina Santi Bevilacqua di Brescia che allestì e
diresse un ospedale da campo, in cui morì il figlio, la principessa
Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che da Napoli condusse in Lombardia un
battaglione di duecento uomini per combattere contro gli austriaci. E
perché non ricordare anche Irma Bandiera, che accettò il patibolo
davanti alla casa dei suoi figli pur di non rivelare i nomi dei
combattenti. Alcune di loro, va ricordato, parteciparono alla lotta
risorgimentale fin dai suoi primi tempi. È questo il caso di Eleonora
Fonseca Pimentel. Scrittrice e poetessa, durante la brevissima
esperienza della Napoli repubblicana nel 1799 fu tra le prime ad essere
condannata a morte dai sostenitori della monarchia borbonica. Salì sul
patibolo con grande dignità pronunciando la frase del poeta Virgilio:
“Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”.
Tuttavia, grazie agli studi di Maria Sofia Corciulo e di Renata De
Lorenzo dell’Università di Napoli “Federico II”, siamo in grado di
ricostruire le vicende di alcune protagoniste del nostro “Risorgimento
meridionale”, donne finalmente sottratte all’oblio: la vita, le passioni
e il coraggio di Antonietta De Pace di Gallipoli (Le), di Serafina
Apicella, originaria del Cilento, di Alessandrina Tombasco del Cilento,
di Giuseppa Bolognara da Barcellona (Me), di Enrichetta Caracciolo da
Napoli, di Giuseppina Turrisi Colonna da Palermo, di Giuseppina Vadalà
da Messina, di Rosalia Denti da Palermo, di Teresa Filangieri da Napoli,
di Luisa Granito da Napoli, di Maria Giuseppina Guacci da Napoli, di
Grazia Mancini da Napoli, di Marianna Oliverio di Cosenza, di Lucrfezia
Plutino da Reggio Calabria e di Firminia Siciliano Garlasco da Potenza.
In questo articolo mi soffermerò soltanto sulla storia di Antonietta De
Pace, una donna che con grande determinazione e coraggio abbracciò le
idee repubblicane e organizzò le combattenti, cosiddette “giardiniere”,
contro il modello imposto dal Regno Borbonico e dalla cultura del tempo.
Antonietta nacque il 2 febbraio del 1818 a Gallipoli, in provincia di
Lecce, da Gregorio, un banchiere napoletano, e da Luisa Rocci Cerasoli,
una nobildonna d’origine spagnola i cui fratelli avevano partecipato
attivamente alla Repubblica napoletana del 1799.
Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto in circostanze
misteriose. Perciò, insieme alle sorelle Chiara, Carlotta e Rosa, fu
rinchiusa nel monastero delle clarisse di Gallipoli, la cui badessa
apparteneva alla famiglia De Pace. La sorella Rosa sposò Epaminonda
Valentino, responsabile della corrispondenza politica mazziniana tra
Napoli e la Terra d’Otranto. È grazie a lui che Antonietta entrò a far
parte della “Giovine Italia”. Il cognato Epaminonda morì in carcere a
Lecce, a soli 38 anni. La fine prematura del cognato spinse Antonietta a
lasciare Gallipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e i
nipoti, dove collaborò attivamente con il comitato napoletano della
“Giovine Italia”, presieduto allora dall’avvocato tarantino Nicola
Mignogna. Qui nel 1849 fondò un Circolo femminile, composto
prevalentemente da donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui
parenti si trovavano nelle carceri borboniche, allo scopo di mantenere i
rapporti fra i detenuti politici e i loro parenti, e far pervenire
nelle carceri viveri e altri mezzi di sussistenza, lettere e
informazioni politiche. Oltre a dirigere il Circolo femminile, e il
successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni 1849-1855,
Antonietta collaborò ad associazioni patriottiche meridionali, quali
l’Unità d’Italia, che propagandavano l’unificazione dei numerosi
movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubblicana. A causa
della sua attività, considerata eversiva, fu costretta a cambiare spesso
abitazione, per non coinvolgere la sorella Rosa e per depistare la
polizia borbonica. Arrestata il 26 agosto 1855, non esitò ad
inghiottire, appallottolandoli, due proclami di Mazzini. Fu sottoposta a
continui interrogatori e vessazioni di ogni tipo, senza mai rivelare
alcunché delle sue attività cospirative. Il procuratore generale
Nicoletti chiese per lei una condanna esemplare a morte. In un processo
che fece molto scalpore, perché l’imputato era una donna e, per giunta,
appartenente all’alta borghesia. Assolta perché la giuria si divise,
dopo la sua liberazione visse strettamente sorvegliata dalla polizia, ma
non abbandonò la sua attività di cospiratrice, anzi fondò a Napoli un
Comitato politico mazziniano. Nell’ottobre del 1858 incontrò Beniamino
Marciano, un giovane prete liberale di Striano, che era venuto ad
abitare nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due
nacque subito un intenso rapporto sul piano sentimentale e politico, che
si coronò con il matrimonio celebrato nel 1876 quando Antonietta aveva
già 58 anni.
Quando il 7 settembre 1859 Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli con
ventotto ufficiali, lo accompagnavano due donne, Emma Ferretti e
Antonietta De Pace, vestite con i colori della bandiera italiana. Alla
morte di Cavour, Antonietta De Pace si recò a Torino per i funerali,
accolta con grandi onori dai patrioti meridionali che sedevano nel
Parlamento italiano. Tanto che Garibaldi non poté fare a meno di
scrivere: “…Voi donne, interpreti della divinità presso l’uomo, molto
già avete fatto per l’Italia e molto ancora dovete operare per
l’avvenire. Molto confido nelle donne di Napoli”.
Antonietta tornò a Gallipoli dopo trentaquattro anni di assenza e si
dedicò all’educazione dei fanciulli, che esortava dicendo: “Noi abbiamo
fatto l’Italia, voi dovete conservarla, lavorando a farla prospera e
grande”. Morì la mattina di un giorno di sole a 76 anni. Il suo ritratto
ad olio, dipinto dal Sogliano, è esposto al Museo civico della città di
Gallipoli, mentre il Comune le intitolò una via cittadina e nel 1959
ebbe il suo nome anche l’Istituto Professionale Femminile di Lecce.
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Eroine (non più) dimenticate
La cordicella che veniva concessa alle donne
condannate all’impiccagione per “custodire il pudore” tenendo legati i
lembi della veste durante l’impiccagione venne rifiutata a Eleonora de
Fonseca Pimentel, che “dovette far fronte alla morte senza le mutande
che le avevano strappato via mentre indossava l’abito delle recluse”. I
suoi illustri natali non le valsero neppure per avere il “triste
privilegio di morire di scure anziché di laccio”, tanto i rivoltosi -
soprattutto se donne - erano odiati dall’aristocrazia. È uno dei
ritratti delle eroine del Risorgimento - tratteggiati sapientemente e
curati con particolari che restituiscono con efficace immediatezza la
loro umanità - da Marina Cepeda Fuentes in “Sorelle d’Italia. Le donne
che hanno fatto il Risorgimento” (ed Blu). L’autrice, spagnola da tempo
in Italia e giornalista dai multiformi interessi, racconta ‘l’altro
Risorgimento’ attraverso documenti e testimonianze, leggende e poesie.
Un libro che ha il pregio di porgere storie ed episodi con eleganza e
dovizia di riferimenti e che si unisce ad altri studi nella convinzione
che non basta qualche strada intitolata o qualche lapide impolverata a
rendere omaggio a quelle eroine.
T.B.